La trasformazione digitale sta cambiando la fisionomia delle competenze necessarie per restare al passo con la globalizzazione, ma la mancanza di consapevolezza rischia di lasciare indietro molte aziende inconsapevoli.
Serve allora un mercato del lavoro modernizzato, un sistema dei formazione di competenze capace di stare al passo con le professionalità richieste, e anche la consapevolezza degli imprenditori sulle trasformazioni in atto.
È emerso da un confronto presso l’Università Bicocca di Milano in cui le principali associazioni ICT nazionali – AICA, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia – insieme al MIUR e ad AgID – hanno preso spunto dagli aggiornamenti dell’Osservatorio delle Competenze Digitali per lanciare alcuni messaggi al mondo imprenditoriale.
Il tema è quello delle competenze digitali, che oggi sono l’asset strategico per abilitare la trasformazione digitale.
Dall’analisi delle offerte di lavoro via web emerge il divario fra quanto cercano le aziende e la preparazione professionale di quanti sono in cerca di occupazione.
Le offerte di lavoro relative alle nuove professioni digitali emergenti sono cresciute da febbraio 2013 ad aprile 2017 a ritmi del +280%: Data Scientist, Cloud Computing, CyberSecurity Expert, Business Intelligence Analyst, Big Data Analyst, Social Media Marketing.
E anche nelle professioni non strettamente tecnologiche sale la componente di competenze legate al digitale soprattutto nelle aree HR, Contabilità e Marketing.
L’altro lato della medaglia riguarda le competenze in area business e i soft skills, che diventano sempre più ricercati in abbinamento con i profili digitali: e su questo punto il divario cresce ancora.
La trasformazione in atto con Impresa 4.0 sta delineando la necessità di uscire dagli schemi tradizionali di valutazione e selezione delle figure professionali digitali per cogliere le competenze trasversali, in cui primeggia la capacità gestire il cambiamento continuo.
Nel 2018 i paradigmi che guideranno il cambiamento nelle imprese, in crescita rispetto agli anni precedenti, saranno il Mobile (67%), le attività di intelligence e analytics sui Big Data (61%), la Cyber Security (61%), l’Internet of Things (52%) e trasversale, a tutti i precedenti, il paradigma del cloud computing.
Nel tessuto produttivo italiano una delle più forti criticità è culturale e legata alle piccole imprese: molte aziende non sanno decodificare le nuove competenze necessarie, altre non avrebbero comunque le risorse economiche per attrarle e per assumerle.
In questo panorama, Milano, come città tra le più “smart” d’Italia, può fungere da esempio virtuoso di cambiamento dei processi interni all’amministrazione e di diffusione di buone practice digitali con la collaborazione del tessuto associativo, economico e sociale sul territorio.
