Nella riorganizzazione dello Stato portata avanti da Parlamento e Governo in carica si sente spesso parlare di risparmi. Gran parte del lavoro è sotterraneo e si sente sempre meno usare i termine spending review, fors’anche per non richiamare alla mente la strana figura fatta dai nostri vertici con il lavoro di Carlo Cottarelli. L’esperto, sollecitato a lasciare nientemeno che il Fondo Monetario Internazionale per fare la revisione della spesa italiana, accettò l’incarico del Governo Letta per produrre un rapporto che fu sostanzialmente ignorato dal Governo Renzi.
Niente di strano, né di bello. Tornato all’Fmi con altro incarico, Cottarelli ha pubblicato una versione per le masse del suo rapporto, titolandolo “La lista della spesa – La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare”, Feltrinelli (maggio 2015). La versione completa è disponibile online dal marzo 2015. La review è stata poi affidata a Yoram Gutgeld e Roberto Perotti.
Cottarelli si è occupato anche di Ict. Ma cosa ha detto? Non molto, per la verità, almeno nel libro. “L’ulteriore digitalizzazione della pubblica amministrazione è di estrema importanza”, ha scritto (p.79); “può portare a risparmi elevati, soprattutto se accompagnata da un’adeguata riorganizzazione del flusso informativo e dalla volontà di utilizzare a pieno le sue potenzialità (anche in termini di risparmi di personale)”. La valenza politica del personale permea gran parte delle 200 pagine del testo.
La frammentazione delle spese
Due sezioni illustrano alcuni problemi derivanti dalla frammentazione e dall’eccessiva complessità della struttura delle pubbliche amministrazioni italiane. La prima riguarda i costi della Information and Communication Technology (Ict), insomma i costi per i computer, le reti di trasmissione dati e così via. I dati riportati nel testo non sono identici a quelli presentati nella slide 25 del documento “Il Rapporto del Commissario”, anche se con un po’ di lavoro si comprendono entrambe le versioni.
Nel libro, pagg. 79 ed 80, Cottarelli discute dei costi di gestione dell’Ict e di come questi potrebbero essere ridotti.
A quanto ammontano le spese per l’Ict attualmente? “La ricognizione che ho fatto attraverso la Ragioneria generale dello Stato, sulla base dei codici utilizzati dalle Pa, dà una spesa di circa 3 miliardi per tutta la pubblica amministrazione. Tuttavia, questa è probabilmente una sottostima perché molte amministrazioni attribuiscono codici inappropriati alle spese per l’Ict. Stime campionarie suggeriscono una spesa di 5/6 miliardi. Alcuni stimano che si superino i 10 miliardi”. Le spese attuali potrebbero essere ridotte molto solo deframmentando la gestione informatica. Nell’intera Pac ci sarebbero sarebbero, sulla base del censimento effettuato nel 2013, una sessantina di Ced. Lo stesso censimento ne indica un migliaio per l’intera Pa: la slide 25 del “Rapporto” ne indica 11000, ma si tratta di un errore di digitazione.
“Stime fornite a inizio 2014 indicavano la possibilità di ridurli a 60, di cui 10 per l’amministrazione centrale e 50 sul territorio”, dettaglia Cottarelli, attribuendo la valutazione alla Revisione della spesa svolta dall’Agid e al Piano triennale di razionalizzazione dei Ced delle Pa. “Il piano prevedeva investimenti di circa 350 milioni annui distribuiti su sette anni, ma i risparmi stimati a regime sarebbero stati di quasi due miliardi l’anno, di cui 600 realizzabili già dopo tre anni”.
Grandi risparmi dal 2017 al 2021
Il piano originale prevedeva un inizio già nel 2014, ma tra eventi generali, cambiamenti di commissario alla spending review e cambiamenti alla guida dell’Agid, possiamo tranquillamente ipotizzare che le attività inizialmente previste nel 2014 avranno richiesto anche il 2015. Si lavora quindi in un quadro di riferimento 2015-2021.
Investire 350 milioni all’anno dal 2015 al 2021 comporta 2,25 miliardi di spesa complessiva. Passando ai risparmi di spesa, sappiamo che dopo tre anni, quindi nel 2017, sarebbero 600 milioni. La frase non è chiara: i primi due anni ci sono risparmi che sommati a quelli del terzo fanno 600, oppure ce ne sono (oltre i 600) ma sono ridotti e non quantificabili? Prendiamo l’ipotesi peggiore e diciamo che nel primo triennio la somma farà 600. Se a regime sfioreranno i 2 miliardi annui, ci sarà una crescita di 1,4 miliardi in 4 anni: ipotizzando la linearità della crescita, ogni anno il risparmio salirà di 350 milioni. Ergo dal 2015 al 2021 la successione sarebbe di 600, 950, 1.300, 1.650 e 2.000 milioni, per un totale di 6,5 miliardi di risparmi con spese per 2,25. Sempre nell’ipotesi peggiore, quindi, si avrebbero saldi negativi (non trascurabili) solo per i primi due anni.