Credito alle imprese – Il futuro della garanzia consortile

Come cambia il mondo della garanzia consortile.

Il mondo della garanzia consortile sta subendo in questi ultimi anni mutamenti repentini e sconvolgimenti rapidi. Per decenni il mondo dei confidi è parso pressoché immobile, senza variazioni di tema. Unica tendenza, un lento ma progressivo incremento di  utilizzo da parte del sistema bancario, che trent’anni fa snobbava gli organismi di garanzia, quindici anni fa ne temeva la capacità di limitare i propri spread e da qualche anno a questa parte non concede quasi più credito in assenza di un loro intervento.
Che i finanziamenti intermediati dagli organismi di garanzia stiano crescendo esponenzialmente è sottolineato anche dall’attenzione mediatica riservata a questi soggetti, di cui fino a qualche anno fa quasi nessuno aveva mai sentito parlare. Oggi non c’è quotidiano economico che periodicamente non esponga qualche intervento che li riguarda direttamente. In un momento di crisi economica profonda essi sono assurti a salvatori finanziari della patria, ed effettivamente senza la loro opera i cadaveri (nel senso di imprese in default) rimasti sul campo negli ultimi 18 mesi sarebbero stati sicuramente molti di più. È difficile non considerare l’attenzione di cui sono stati fatti oggetto da Governo, Enti locali, organizzazioni di categoria, quasi che essi, con le loro scarse risorse patrimoniali, potessero cambiare l’ordine delle cose e disinnescare una crisi di dimensioni preoccupanti. Sicuramente tutti hanno colto la loro valenza anticiclica e la loro capacità di valutare le probabilità di sopravvivenza delle Pmi al di là dei numeri espressi dai bilanci. Appaiono però insufficienti gli stanziamenti operati in loro favore dagli enti pubblici locali (Regioni e Camere di Commercio in primis) o indirettamente dallo Stato (tramite il potenziamento del Fondo centrale di garanzia). Da un lato si chiede ai confidi di sostenere l’economia e le imprese deboli, dall’altro gli si nega il giusto apporto finanziario. Il Fondo centrale di garanzia dovrebbe essere esclusivamente riservato a loro e invece è appannaggio anche del sistema bancario, grazie all’attività di lobby operata dall’Abi, che si è sempre opposta al fatto che tali risorse venissero messe a disposizione esclusiva dei confidi. Da un lato le banche richiedono a gran voce l’intervento degli organismi di garanzia, dall’altro sono restie a lasciare ai confidi i denari per la controgaranzia. A ciò si aggiunge il fatto che in un momento economico buio, in cui le sofferenze sul sistema della garanzia si sono mediamente triplicate rispetto al passato, gli enti locali si disimpegnano, non sostenendo più i confidi. Questo vale in prima battuta per le Camere di Commercio, ma anche per le Regioni, che al di là degli slogan politici hanno dato in misura limitata e avvalendosi a volte di criteri distributivi non equi.

Il prezzo equo della garanzia
Se il rischio di default triplica e dal settore pubblico non si riesce a raccogliere nulla o quasi, ai confidi non rimane che aumentare il prezzo della garanzia per restare a galla e cercare di far quadrare il proprio conto economico, anche perché l’altra voce di ricavo tipica, gli interessi sul patrimonio, tende a scemare sempre più a causa della discesa dei tassi d’interesse. Se non si spezza questo circolo vizioso (maggior rischio contro minori risorse) non basteranno le aggregazioni a salvare dalla chiusura il mondo della garanzia consortile, che non dispone né dei patrimoni, né delle entrate tipiche del sistema bancario. Se faticano le banche a restare in piedi, figuratevi i confidi!

I primi 107
Nel 2010 scocca l’ora degli intermediari vigilati da Bankitalia, i cosiddetti “Confidi 107”. L’istituto di Via Nazionale  sta vagliando da agosto dello scorso anno le domande di iscrizione che via via i confidi hanno inviato, obbligati dal superamento della soglia dei 75 milioni di euro di attività finanziaria. L’iscrizione all’elenco di cui all’art. 107 del Tub non è facoltativa, ma obbligatoria al verificarsi appunto del superamento dell’asticella. Iscriversi significa sottoporsi ad un regime di vigilanza pari a quello riservato alle banche. Quindi incrementi di costi per adeguamenti procedurali, informatici, formali… Molti oneri (subito) e, forse, qualche onore (futuro e ancora da dimostrare). Per altro il recente riesame del Titolo V del Tub, se andrà in porto, riserverà una serie di amare sorprese anche a quei confidi di minori dimensioni che fino ad ora erano, in qualche modo, riusciti a sfuggire alle regole e ai controlli riservati ai futuri 107.
Banca d’Italia da inizio anno ad oggi ha già provveduto ad iscrivere un certo numero di confidi tra gli “eletti”. Si tratta sia di confidi di matrice confindustriale, che artigianale, che non riconducibile a qualche categoria particolare. Questi confidi dovranno prossimamente iniziare a segnalare in Centrale rischi le operazioni da loro garantite e a mettere a disposizione dell’istituto di controllo una serie di dati economico patrimoniali atti a verificare il mantenimento dei requisiti patrimoniali minimi in termini di solvency. Con il livello di rischiosità espresso dal mercato e l’impennata delle sofferenze, mantenere degli indici di solvibilità adeguati sarà tutt’altro che scontato. Per contro le banche non si sono nemmeno ancora attrezzate per poter sfruttare l’effetto benefico dei confidi vigilati sui loro accantonamenti patrimoniali. Un confidi 107 trasmetterà infatti alla banca ponderazione 20 sulla quota del finanziamento garantita. Vediamo un esempio numerico. La banca X concede un finanziamento alla Impresa Y per 100 euro. Tale finanziamento viene garantito da un confidi 107 al 50%. L’accantonamento patrimoniale della banca sarà pari all’8% dell’impiego ponderato per il rischio, ovvero:

  • sui 50 euro non garantiti ponderazione 100 (o anche di più se trattasi di azienda a rating negativo); quindi  50X100%=50 ; accantonamento 8% di 50= 4
  • sui 50 euro garantiti ponderazione 20; quindi  50X20%=10 ; accantonamento 8% di 10= 0,8.

Come si nota l’impatto del confidi sugli accantonamenti patrimoniali della banca è dirompente. Per 50 euro prestati, in un caso l’istituto accantona 4, nell’altro meno di 1. Il tasto dolente è che in questo momento le banche non riescono, nello stragrande numero dei casi, ad approfittare già di questo vantaggio. Ci riusciranno nel giro di un anno o due. Quindi per ora i confidi 107, pur essendosi caricati di orpelli per l’accesso tra gli intermediari vigilati, non riescono ancora a trasmettere la loro valenza alle piccole e medie imprese in maniera automatica in termini di riduzioni di spread. La loro garanzia viene ancora valutata alla stregua di quella di un confidi 106 e il risparmio per le imprese arriva dall’abilità di contrattazione dal confidi, ma non ancora da un conforto matematico.

Il Fondo centrale
Oltre il danno la beffa… Da quando il Fondo centrale di garanzia ha ottenuto la garanzia di ultima istanza dello Stato, che attribuisce ponderazione zero alle esposizioni garantite, le banche hanno capito che possono buttarsi direttamente sul fondo, bypassando i confidi e aggirando il loro effetto calmierante nei confronti della clientela. Ritornando all’esempio di prima, sui 50 euro garantiti dal Fondo, la ponderazione sarebbe zero e quindi l’accantonamento operato dalla banca sarebbe parimenti nullo (l’8% di zero). Approfittando del prezzo “politico” della garanzia offerta dal Fondo centrale, assolutamente fuori mercato rispetto ai prezzi espressi dai confidi, che devono fare i conti con risorse limitate e con le insolvenze, le banche possono così applicare alla clientela gli spread che vogliono, scardinando il ruolo di calmiere del credito svolto dai confidi (tassi bassi alle imprese socie in cambio della garanzia consortile). Il tutto con il beneplacito dello Stato, che si guarda bene dall’impedire che le risorse pubbliche del Fondo vengano saccheggiate direttamente dalle banche, ma anzi delegittima pure i confidi, facendo pagare alle banche la propria garanzia un’inezia, un dumping a cui i confidi non possono resistere. Almeno ci fossero benefici per l’impresa, ma invece no, chi ci guadagna (come sempre) è soltanto la banca.

Cosa resta in prospettiva ai confidi
In prospettiva, se le banche non cambiano atteggiamento o se lo Stato non rivede le proprie posizioni escludendo dal Fondo le banche e riservandolo ai confidi, agli organismi di garanzia rimarranno le linee di credito più rischiose, quelle che per una serie di svariati motivi non possono avvalersi della garanzia del Fondo. Parliamo di operazioni su aziende che hanno rating negativi che non permettono l’accesso al Fondo, oppure che hanno già sfruttato completamente il plafond a loro destinato dallo strumento pubblico di garanzia. O, in ultimo, linee non controgarantibili per tipologia (linee di breve termine a revoca, ad esempio smobilizzo crediti, fidi di cassa…). L’unica soluzione per gli organismi di garanzia consiste nel creare un rapporto forte e duraturo con le imprese, convincendole a rivolgersi in prima battuta a loro in caso di necessità, anziché alle banche. Questo si può fare solo con una rete commerciale forte, che stia molto vicina alle aziende e ne percepisca con tempismo le necessità finanziarie. Se il confidi diventa veicolo per le necessità delle Pmi e traghettatore delle medesime verso il sistema finanziario può avere un futuro, viceversa, se si limita ad aspettare che la banca gli porga su un vassoio d’argento le operazioni, come invece è avvenuto negli ultimi 3-4 anni, avrà vita breve, schiacciato dal calo prospettico di volumi di lavoro, dall’incremento delle sofferenze, dall’insufficienza patrimoniale e dal venir meno del sostegno dell’ente pubblico.

 

(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

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