Home Prodotti Sicurezza Cybersecurity: con guerre e AI è emergenza globale, secondo Rödl & Partner

Cybersecurity: con guerre e AI è emergenza globale, secondo Rödl & Partner

Come afferma Rödl & Partner – studio legale multinazionale presente in 50 Paesi nel mondo, tra cui l’Italia – con l’escalation delle guerre è cyber-emergenza globale, ma anche per Pubblica amministrazione, infrastrutture e aziende italiane, incluse le piccole-medie imprese. Se già il 2023 era stato caratterizzato da un allarmante +65% di violazioni informatiche nel nostro Paese secondo quanto riporta il rapporto Clusit 2024, ancora più pessimistiche sono le previsioni degli esperti per questo e per i prossimi anni, nei quali la situazione è drammaticamente peggiorata a causa dei grandi conflitti che, come noto, si traducono anche in guerre informatiche atte a colpire o destabilizzare uno o più Paesi e le loro infrastrutture ed economie.

“Si pensi che solo negli USA secondo Cybersecurity Ventures entro il 2031 si arriverà a un nuovo attacco a un consumatore o un’azienda ogni 2 secondi per danni stimabili in 260-300 miliardi di dollari e tutti questi studi e ricerche – annota Andrea Marchi, Cyber & Information Security Expert di Rödl & Partner – non calcolano l’attuale terribile scenario di guerra globale che certamente avrà sul web uno dei suoi punti di impatto”.

E oltre ai drammatici conflitti anche l’adozione sempre più diffusa ed entusiastica dell’intelligenza artificiale da parte di aziende e organizzazioni potrebbe esporre a nuove vulnerabilità, mettendo a rischio le difese informatiche di stati, aziende e infrastrutture”, continua l’esperto. Aspetto confermato da un recente report Kaspersky secondo il quale solo il 59% di manager si preoccupa delle fughe di dati legate all’IA, e appena il 22% ha pensato di regolamentarne l’utilizzo, al contempo, il 24% identifica l’IT e la cybersecurity come i principali settori da automatizzare.

In questo scenario il 77% delle aziende europee, sempre secondo Kaspersky, ha subito almeno un incidente informatico negli ultimi due anni “e – sottolinea il cyber-esperto di Rödl & Partner – a questo fenomeno contribuiscono anche una certa mancanza di attenzione e consapevolezza da parte delle aziende e, in particolare, dei singoli dipendenti”.

Si calcola che solo il 35% delle aziende utilizza tecniche di attack surface management per misurare il rischio della superficie di attacco e solo il 34% è conforme agli standard di settore comprovati, come l’ISO27001 o il NIST, ovvero l’insieme di linee guida volontarie progettate per aiutare le organizzazioni a valutare e migliorare la propria capacità di prevenire, rilevare e rispondere ai rischi di sicurezza informatica (dati Trend Micro).

Ma – prosegue l’analisi di Rödl & Partner – al netto di tutte le precauzioni tecniche che possano essere attivate per scongiurare o quantomeno limitare i danni un attacco cyber, sembrerebbe che il fattore umano sia una delle cause determinanti: stando allo studio Voice of the CISO 2024 di Proofpoint, il 74% dei Chief Information Security Officier, cioè i responsabili della sicurezza informatica, ritiene che dipendenti e collaboratori rappresentino la più grande minaccia per la sicurezza informatica aziendale, dato avvalorato da IBM secondo cui l’errore umano sarebbe addirittura causa principale del 95% delle violazioni della sicurezza informatica.

È importante ricordare – sottolinea Andrea Marchi di Rödl & Partner – che ogni dipendente ha un ruolo cruciale nella protezione della sicurezza dei sistemi e dati aziendali. In particolare, gli smart-worker è bene che stiano attenti a rispettare pedissequamente il regolamento IT e tutte le procedure di sicurezza aziendale: un approccio attento e responsabile non solo protegge l’azienda, ma aiuta anche i singoli ad evitare complicazioni”.

D’altro canto, bisogna tenere presente però – chiarisce l’esperto – che molte aziende possono trovarsi in difficoltà nel soddisfare gli obblighi di formazione dei dipendenti in materia di cybersicurezza. È possibile che le norme o le procedure di sicurezza siano talvolta poco chiare o disorganiche, oppure, peggio ancora, che il dipendente lavori dal suo PC personale proprio su richiesta del datore di lavoro. Queste pratiche possono comportare rischi significativi – ammonisce l’esperto di Rödl & Partner –. E tali inadeguatezze possono portare a problematiche con conseguenze molto dannose per l’impresa stessa, che vanno dalla potenziale interruzione delle attività, alla responsabilità nei confronti di terzi, come clienti e fornitori, sui dati trafugatialla possibile estorsione di denaro per il ripristino dei dati compromessi o per la loro non divulgazione nel dark web. Investire in una formazione adeguata e in attività di sensibilizzazione, insieme a procedure chiare, è essenziale per proteggere sia i dipendenti che l’intera organizzazione.”

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