Dal Saas una rivoluzione nella delivery

Nonostante gli ostacoli culturali e tecnologici, si fa largo anche in Italia il Software as a service, mentre l’offerta a disposizione degli operatori si moltiplica

Dicembre 2009

Gira e rigira, nelle aziende tornano sempre a galla le solite esigenze: la flessibilità, il giusto rapporto tra quello che si spende e quello che si riceve, la volontà (necessità?) di minimizzare gli investimenti in personale tecnico. Conseguentemente sul fronte dell’offerta sbocciano nuovi paradigmi, che in fondo non sono altro che la riedizione, aggiornata secondo le più recenti possibilità offerte dalla tecnologia, di vecchi paradigmi.
Uno dei più attuali viene indicato con l’acronimo Saas (Software as a service), che peraltro viene usato per indicare una modalità di delivery di tutta una famiglia di risorse: il software applicativo prima di tutto, ma anche le piattaforme di sviluppo, poi la security, lo storage, l’Unified communication, l’infrastruttura.

Caratteristiche comuni: nessun investimento (capex) sostituito da un canone d’uso e nessuna installazione in house: ci pensa, infatti, il fornitore, si paga per quello che si usa e si possono assorbire tranquillamente i picchi di lavoro. Gli aggiornamenti tecnologici, poi, sono continui e soprattutto trasparenti agli occhi degli utenti, nessuna necessità di presidio in azienda da parte di personale specializzato e altro ancora.
Tutto ciò non ricorda nulla? Certamente sì: se andiamo a ritroso ritroviamo l’Asp, i thin client, giù giù fino al time sharing e al service bureau degli anni ’60.
Oggi è di moda il Saas, al tempo stesso nuova modalità di delivery e di licensing. Magari, sempre in tema di ricordi, potremmo osservare che di Saas si cominciò a parlare già alcuni anni fa, il che, fino a ieri, poteva far pensare che anche il Saas avrebbe fatto la fine di Asp&Co. Invece, eccolo, più vispo che mai.

 Il miracolo l’ha fatto il cloud computing che ha cancellato alcune limitazioni strutturali della fornitura di servizi da parte di un singolo data center, come le risorse finite e l’accessibilità. Oggi con il servizio che si è spostato sulle nuvole di colossi come Google, Oracle o Microsoft la capacità elaborativa diventa praticamente infinita e l’accessibilità è totale, basta avere banda a sufficienza, cosa che diventa sempre meno un problema (tranne nel nostro Paese). A favore della diffusione di Saas potrebbe giocare anche l’attuale crisi: i decisori aziendali (personaggi di business, non di tecnologia) dovrebbero apprezzare la possibilità di evitare spese in conto capitale, un aspetto che potrebbe annullare anche un’altra remora alla crescita della spesa It verso livelli europei, ossia la scarsa propensione dei manager delle Pmi a considerare gli investimenti It come una fonte di profitto e di competitività, alla stregua dei capannoni, dei torni e degli automezzi.
L’uso del condizionale sta a indicare che almeno per ora non sembra che il successo del Saas sia travolgente.

Gli ostacoli
alla diffusione

Le ragioni del fronte del no sono di varia natura e di diverso grado di concretezza. Se i dubbi sulla sicurezza dei dati si potranno fugare dopo che le prime storie di successo avranno innescato la solita tendenza all’imitazione e se, magari un po’ più in là nel tempo, il piccolo/medio industriale accetterà (anche se “obtorto collo”) di vedere uscire dalla sua azienda i dati più riservati, altre remore appaiono più strutturalmente legate alla tipologia dell’offerta e delle tecnologie sottostanti. Citando in ordine sparso, cominciamo da considerazioni operative. Un’applicazione in house è controllata dall’It aziendale che decide quando e come fare i backup e gli eventuali restore.

Nel caso Saas ciò è gestito centralmente e pertanto è al di fuori del controllo dell’utente, che per la stessa ragione dovrà rinunciare alle personalizzazioni che sono un po’ la passione delle aziende italiane e spesse volte fonte di differenziazione e di vantaggio competitivo. Poi c’è il problema del livello di servizio: il fornitore di Saas è veramente in grado di garantire un determinato Sla? C’è chi ne dubita. E siamo sicuri che prima o poi non vengano a galla costi nascosti? C’è poi un aspetto organizzativo/motivazionale: vista l’attrattività della componente finanziaria dell’offerta Saas è fisiologico che le decisioni di adozione siano prese dal top management, magari bypassando il Cio.

Una volta, poi, che il servizio è operativo, gli utenti avranno come controparte il fornitore Saas e non l’It aziendale. Tutto ciò riduce il ruolo del Cio che pertanto avrà la tentazione di remare contro, a meno che non utilizzi l’opportunità Saas per mettere sulla nuvola le applicazioni meno legate al core business per dedicarsi a nuove applicazioni più legate alla competitività aziendale. Infine c’è il collo di bottiglia della Rete che in Italia non fornisce accesso a banda larga in buona parte del territorio. Quando poi l’accesso c’è, non è detto che la banda e l’affidabilità siano sufficienti e qui si ritorna, quindi, al punto degli Sla.

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