Contaminati da bot almeno una volta al giorno. Accade a 2 aziende su 3 delle 888 realtà di dimensione mid-enterprise indagate da Check Point Software Technologies nell’omonimo Security Report 2013.
Contaminati da bot almeno una volta al giorno.
Accade a 2 aziende su 3 delle 888 realtà di dimensione mid-enterprise indagate da Check Point Software Technologies nell’omonimo Security Report 2013.
Messo a punto monitorando, a livello worlwide, quel che accade sulle reti di aziende provenienti, nel 40% dei casi dall’area EMEA, e attive principalmente nei settori industrial (346), finance (128), government (89), telco ((59) e consulting (31), quel che viene fuori è un quadro a tratti sconsolante sulla presenza di vulnerabilità e minacce alla sicurezza di cui la maggior parte delle aziende risulterebbe addirittura all’oscuro.
Lo dicono i 112 milioni di eventi negativi riscontrati dall’analisi di quasi 1.500 gateway, per un totale di 120mila ore di monitoraggio effettuato, in primis, utilizzando apposite honeypot e il sistema proprietario di correlazione eventi Check Point ThreatCloud.
E che il software vendor propone agli IT security che operano in azienda «per creare un solido progetto di sicurezza partendo innanzitutto dalla consapevolezza – come l’ha definita Rodolfo Falcone, country manager di Check Point Italia – di ciò che si verifica sulle proprie reti».
E sarebbe anche il caso, visto che il 75% delle quasi 900 imprese indagate e protette anche da CheckPoint, accede – consapevolmente o meno – a siti Internet contenenti codici maligni «segno che, al loro interno, il controllo della navigazione dei dipendenti non è particolarmente oculata».
Compito allora di una realtà come CheckPoint, che basa la propria strategia su quel 3D Security che identifica in “people”, “policy” ed “enforcement” i tre lati della sicurezza, «sottolineare l’importanza di formare i propri dipendenti sull’utilizzo corretto degli strumenti elettronici in uso in azienda per lavorare in maniera sicura anche fuori dal perimetro aziendale».
Ma non solo.
Perché senza policy di sicurezza definite e introiettate da chi è chiamato a osservarle non si va da nessuna parte «anche se, spesso, chi si occupa di sicurezza in azienda ha difficoltà a far comprendere a chi ha in mano il budget i veri rischi legati a una mancata IT security policy definita».
Non ci si protegge o lo si fa per le minacce sbagliate
Lo testimonia quel 54% di aziende che, nel rapporto, confessa di aver subito la perdita di dati, lo ribadisce un ancora meno incoraggiante 36% di realtà provenienti esclusivamente dal settore finance, cha ha toccato con mano la perdita di dati inerenti le carte di credito mentre, stando all’indagine, ogni 23 minuti un pc accede a un sito malevolo o compromesso e il 53% delle organizzazioni osserva ancora il download di malware.
«D’altra parte – afferma ancora Gubiani – i costi per un kit di attacco, liberamente acquistabile su Internet, sono del tutto irrisori e chiunque potrebbe decidere di farne uso, magari supportato online da un operatore che risponde da qualche Paese dell’ex Repubblica dell’Unione Sovietica».
Da qui l’esigenza di proteggersi su diversi livelli, così da ovviare ciascuna delle problematiche citate tenendo conto che ogni impresa ha le sue peculiarità di business.
Vero è che, ai tempi dei social network, Twitter, Facebook e YouTube risultano le principali applicazioni da proteggere «perché ormai divenute veri e propri strumenti di lavoro», mentre l’uso ancora massivo di file sharing «dettato da politiche di sicurezza molto spesso sbagliate» e l’utilizzo di anonymizer nelle sezioni di navigazione «mette in luce una mancanza di policy e di tecnologie di blocco adeguate».
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