I display da computer sono entrati nell’immaginario collettivo con l’esplosione dell’home computing negli anni Ottanta, quindi circa una trentina di anni fa. In realtà però la loro storia è molto più antica, perché condividono la base tecnologica dei televisori – fatte le debite differenze – e quindi hanno lo stesso antenato.
È il tubo catodico, motivo per cui il termine “monitor” e la sigla CRT (da Cathode Ray Tube) sono diventati poi sinonimi. Ed è il motivo anche per cui la storia dei display in fondo parte dal lontano “tubo di Braun” del 1897, creato da Karl Ferdinand Braun.
Certo dal tubo di Braun a quelli che consideriamo monitor per computer ne è passata di acqua sotto i ponti, tanto che in effetti i primi grandi elaboratori un monitor nemmeno lo avevano. O perlomeno non come lo intendiamo noi: avevano varie file di lampadine che indicavano lo stato dei registri interni della macchina e che permettevano quindi di monitorarne lo stato.
Da qui l’adozione del termine monitor, che ora per noi ha un senso completamente diverso e reso meglio dal termine display. E da qui una storia ricca di evoluzioni.
Gli anni del tubo catodico
Per vedere i primi monitor/display dobbiamo fare un salto dal tubo catodico di Braun agli schermi a fosfori integrati nei grandi elaboratori degli anni Cinquanta. Gli home computer portano i monitor nelle case alla fine degli anni Settanta, il boom dell’informatica a casa e in ufficio lo viviamo a cavallo degli anni ‘80 e ‘90.
È l’era dei monitor-televisori, per i quali bisognava prevedere in anticipo ampio spazio sulla scrivania e anche che la scrivania stessa fosse ben robusta. L’ingombro dei monitor CRT infatti era notevole per i nostri standard attuali.
Era difficile che la diagonale del monitor “medio” andasse oltre i 14-15 pollici perché più lo schermo era grande più era necessario che il tubo catodico fosse profondo, e già di norma si parlava di una quarantina di centimetri. Il peso era di conseguenza, quindi il termine “postazione fissa” aveva un suo preciso significato: trovata la posizione ideale, difficilmente la si cambiava.
Di design ovviamente nemmeno a parlarne, tranne in casi particolari per i display CRT di fascia alta e destinati quasi sempre al settore della grafica o del video. Uno chassis marroncino, nero o al massimo bianco era tutto quello che ci poteva aspettare. Il rapporto tra i lati di 4:3 era la norma: andava bene per le applicazioni di produttività, quelle multimediali erano ancora marginali e in fondo l’affermazione del widescreen andava a rilento un po’ ovunque.
Il passaggio agli LCD
Ma intanto, con calma e partendo dai computer portatili, i display LCD (Liquid Crystal Display) avevano già iniziato la loro affermazione. Anche quella dei cristalli liquidi è una storia che nasce assai prima dei display ma resta nei laboratori fino ai primi anni Settanta.
Poi si cominciano a vedere display LCD un po’ ovunque: orologi, calcolatrici, videogiochi portatili e via dicendo. I computer sono ancora un mondo troppo esigente, serve aspettare la fine degli anni Ottanta per l’approdo sui PC portatili.
Qui bastano schermi relativamente piccoli, anche monocromatici, perché il grande vantaggio dei display LCD compensa questi limiti: sono sottili e consumano poco. Certo costano, ma il vantaggio della portabilità è innegabile.
La rincorsa dei display LCD ai modelli CRT è relativamente veloce. Nel settore dei portatili ovviamente non c’è storia e c’è solo da seguire l’evoluzione tecnologica: prima display piccoli e monocromatici, poi sempre più ampi e con profondità colore sempre più elevata.
Cambiano anche le tecnologie dei display, che permettono di avere una risoluzione sempre più ampia e soprattutto una velocità di visualizzazione più elevata. C’è ancora chi ricorda la “scia” che lasciava il cursore del mouse nel suo movimento sui primi LCD.
Nel mondo desktop le cose vanno più lentamente. Nella seconda metà degli anni Novanta i display LCD da scrivania ci sono ma costano troppo rispetto ai diffusissimi CRT. Hanno altre carte da giocare: il consumo, sempre più importante, e l’ingombro davvero ridotto.
E anche l’attenzione all’estetica, che non guasta specie quando porta con sé anche elementi di ergonomia. Il sorpasso, inevitabile con la progressiva flessione dei prezzi, arriva nel 2003: l’anno in cui le vendite di LCD superano per la prima volta quelle dei CRT a livello globale.
L’era dei cristalli liquidi
La nostra attuale è l’era dei display LCD, banalmente perché è sempre più l’era dei device portatili e questi si basano sui display LCD. Le tecnologie dei primi display sono ovviamente evolute in modo marcato, ma il principio di base al momento resta.
L’evoluzione verso il mobile ha pesato sul mercato dei display/monitor autonomi: prima erano un elemento indispensabile, ora sono un accessorio utile per quando si torna a casa o in ufficio e si vuole collegare il portatile a qualcosa che abbia una diagonale più grande.
Così il buon vecchio monitor si è specializzato e per molti utenti non basta semplicemente “un” monitor ma c’è bisogno di quello che abbia le caratteristiche adatte a ciò che vogliono fare.
I grafici hanno bisogno di display grandi e con una elevata fedeltà dei colori, gli amanti della multimedialità cercano risoluzioni elevate e supporto ai contenuti HDR, in ufficio si pensa a configurazioni multimonitor, per il gaming ci vuole un’alta frequenza di refresh. E via immaginando.
Così il display da scrivania è passato dall’essere una periferica immancabile a uno strumento mirato, che sembra meno importante ma su cui paradossalmente si è disposti a investire più di prima. In attesa della prossima rivoluzione tecnologica – magari la realtà virtuale – che mandi in pensione anche gli LCD.