La netta frenata sul mercato della microinformatica classica mette in chiara evidenza la sana e promettente crescita del “fenomeno” digital imaging. E le strategie annunciate pochi giorni fa da alcuni dei maggiori player del settore non fanno che confermare la tendenza.
Se passaste da un rivenditore italiano in questi giorni forse vi dirà che il mercato si è fermato. Le aziende avevano già “fatto il pieno” di tecnologia alla fine del 1999 con i progetti di compatibilità per il nuovo millennio e hanno rincarato la dose l’anno scorso, investendo su Internet. I privati, da parte loro, hanno ben altri problemi: le tasse, le perdite in borsa e le vacanze imminenti. Come se non bastasse, il panorama del mondo PC appare abbastanza monotono.
Attenuato il rumore di fondo della macchina da guerra che accompagna la marcia inarrestabile dei processori e dei sistemi operativi, appare più evidente la costante crescita del comparto “image processing”. È un fenomeno che viene da lontano e che ha preso avvio tre anni fa col diffondersi dei primi scanner piani a basso costo quale complemento della periferica per eccellenza, la stampante. Oggi lo scanner continua nella sua crescita inarrestabile che lo porterà in ogni ufficio e virtualmente in tutte le abitazioni dotate di un personal computer, e trascina sulla propria scia una parente molto stretta: la fotocamera digitale.
InfoTrends, società statunitense specializzata nelle rilevazioni di questo particolare mercato, ha pubblicato una ricerca lo scorso 21 maggio in cui stima che, entro la fine dell’anno, 21 milioni di utenti americani avranno una fotocamera digitale e che ce ne sarà nel 18% delle case (rispetto al 12% del 2000). Complessivamente, saranno 9,4 milioni le nuove fotocamere vendute negli USA durante il 2001, con un aumento del 55% rispetto al 2000.
Gli stessi analisti sostengono che siamo arrivati al punto di svolta. Le fotocamere digitali hanno ormai raggiunto un punto di competitività sufficiente da diventare un prodotto di massa, con dinamiche tra l’altro più interessanti rispetto alle fotocamere tradizionali. Rispetto a queste ultime presentano la rapida obsolescenza tipica delle tecnologie informatiche e favoriscono un coinvolgimento molto maggiore dell’utente finale che vede immediatamente il risultato della sua opera e può anche intervenire a correggerla mediante il fotoritocco.
Sul mercato Italiano, con poco più di un milione di lire, oggi è possibile acquistare una fotocamera da 2,1 megapixel: una risoluzione sufficiente per stampe di formato fotografico classico con una qualità percepita simile a quanto si otterrebbe da una pellicola da 400 ASA.
Con invece circa due milioni compriamo una fotocamera da 3,3 megapixel che produce stampe con una qualità percepita paragonabile a una pellicola da 200 ASA. Entro lo Smau, arriveranno infine le macchine da 4 megapixel che ci porteranno finalmente alla qualità percepita dei 100 ASA, cioè al livello delle pellicole da 35 millimetri più diffuse.
Bisogna parlare di qualità percepita, poiché la vera eguaglianza di risoluzione tra digitale e pellicola sarebbe raggiunta se arrivassimo a 80 megapixel, traguardo considerato tuttora utopico. Ma se anche riuscissimo a toccare i 20 megapixel su cui si sta lavorando sperimentalmente, la qualità percepita di una fotografia digitale sarebbe di gran lunga superiore a quella di una stampa convenzionale.
I motivi sono tanti, primo fra tutti il fatto che l’immagine digitale non costituisce mai una semplice fotografia della scena inquadrata dall’obiettivo, ma è sempre il frutto di complessi filtri matematici che correggono il nostro lavoro prima ancora di registrarlo nella memoria della fotocamera, trasformandoci tutti i fotografi provetti.
Insomma, la strada è appena cominciata e ogni nuova fase sarà accompagnata da prezzi sempre più abbordabili per le tecnologie di base e risultati sempre più eclatanti per le fotocamere professionali.