Facebook, le aziende e una metrica che (ancora) non c’è

Un’indagine di e.Life e Text 100 evidenzia comportamenti “premianti” di aziende come Vodafone, Nike, Tim, Nivea, Ikea e altre, che si sono cimentate con il social media. Ma l’analisi dei soli post e commenti in italiano nell’arco di appena due mesi non può essere un riferimento.

Il tema è di quelli attuali. Perché, piaccia o meno, i social network sono fra noi e il numero di aziende che decidono di tenerne conto per indirizzare il proprio business cresce a vista d’occhio. Ne è convinta e.Life, società brasiliana presente anche in Italia, Portogallo e, presto anche in Spagna, che ha fatto della specializzazione nel monitoraggio dei social media il proprio core business.

Ma al di là dei “buoni” intenti, quella presentata in partnership con l’agenzia globale di Pr, Text 100, per il mercato italiano, è un’indagine su Facebook con alcuni limiti valutativi. Tanto per cominciare, per quanto lodevole, il numero di likes e commenti in italiano lasciati sulla fan page dagli utenti analizzati mostrano una dimensione del tutto risibile, rispetto ad altre parti del mondo.

Inoltre, due mesi di monitoraggio intercorso tra il 1° novembre e il 31 dicembre 2010, fanno apparire la classifica delle aziende citate del tutto labile e provvisoria, perché sulla Rete i numeri cambiano a una velocità inimmaginabile in altri contesti. Ma tant’è. Qui, a suscitare dubbi, non è tanto il lavoro svolto, che ha preso in esame circa 200 brand italiani e internazionali, di cui solo il 25% in possesso di una fan page nella nostra lingua aggiornata.

Anche perché, fra post, commenti e link pubblicati esclusivamente in italiano su Facebook (che solo nell’ultimo anno, in Italia, ha registrato circa 3.000 nuovi iscritti), la capace business development executive di e.Life, Viviana Venneri, ha analizzato qualcosa come oltre un milione di wall pubblici, fan page e gruppi al fine di comprendere quali sono le realtà che, attive in 15 settori merceologici a copertura dell’universo indagato, risultano le più popolari e apprezzate.

La critica va, semmai, alle metriche realizzate. Se la prima è, infatti, di gradimento (misurata dal software proprietario di e.Life in base al rapporto tra likes e numero di fan), l’altra è di coinvolgimento (realizzata misurando il rapporto tra post pubblicati dall’azienda e numero di risposte degli utenti). Così, se nel primo caso si fa avanti una logica di “caducità“, perché il gradimento è in continua evoluzione e i giudizi espressi vanno costantemente attualizzati, l’altra metrica è destinata a scontrarsi con un problema di analisi dei contenuti, visto che non tutte le risposte sono positive, ma richiedono di essere analizzate una a una.

Con ciò, su questo punto Venneri è chiara e ricorda come: «Si parla tanto di quantità ma, spesso, va analizzata la qualità di quanto si apprende, anche se in questo contesto non ha effettivamente alcun senso un’analisi di soli due mesi».
Nei social network, continua la nostra interlocutrice, chi si accinge a indagare il proprio universo di riferimento, lo fa “ascoltando” i dialoghi spontanei fra persone che non si conoscono e dovrebbero comunque tener conto che i comportamenti della domanda e gli hot topics cambiano repentinamente. «Con questo – è l’ulteriore puntualizzazione – se un’informazione viene ritenuta particolarmente grave o importante da un’azienda, tale da generare un’iniziativa per porvi rimedio, non occorre che sia stata generata dal giudizio espresso da 100.000 persone».

E dicendolo cita la strategia di Tim, realtà che, pur senza essere stata tra le più commentate nei due mesi indagati, «ha saputo generare engagment dimostrando, attraverso la pubblicazione della foto del fan della settimana sulla propria pagina di Facebook, di conoscere perfettamente la generazione Y e i 15 minuti di fama di cui molti sono alla ricerca».
Più pregnante ci pare, però, il caso di Alitalia, la cui pagina di Facebook è strategicamente di “servizio” per rispondere, praticamente in tempo reale, a critiche e richieste degli utenti, «che stupiti di tanta solerte attenzione, in alcuni casi, ringraziano».

Così, tolto il già da tempo conosciuto, “decalogo” su cosa fare e cosa evitare su Facebook stilato da Text 100, di “buono” dell’analisi presentata rimangono alcune altre cose. Prima tra tutte il dato di fatto che, essere su Facebook, «è soprattutto una questione di moda» e che chi intende trarne vantaggio «deve saper coinvolgere in prima persona gli utenti che stanno dall’altra parte della Rete». L’esempio corre sul Web e parla di realtà come Nike, Nokia, Vodafone e Nivea che, a loro modo, hanno chiesto agli utenti di esprimere un loro parere sui rispettivi argomenti di interesse.

«Similmente Pupa ha scelto di prestare ascolto ai commenti sui nuovi prodotti in fase di lancio, sia per aumentare la propria brand awareness, sia per correggere il tiro delle iniziative in atto». La portata di Facebook è anche social e come tale va apprezzata, visto l’utilizzo che ne fa una realtà come Ikea, attenta a tematiche di sostenibilità ambientale e solidarietà con progetti per l’infanzia.

Così, aspettando che e.Life metta in piedi quello che Venneri ha definito «un appuntamento fisso, che riesca a raggruppare i risultati di indagini come quella appena condotta per una visione più a lungo termine», Facebook comincia senz’altro ad assumere i contorni di uno strumento consumer che interessa al business. Anche dal punto di vista operativo, considerato il recente annuncio di Whirlpool che, ha attuato la ricerca di 200 nuovi talenti in Europa grazie all’ausilio del social network creato da Mark Zuckerberg.

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