Una class action e richieste di chiarimento da parte di Camera e Senato Usa: non tutte le informazioni sull’azienda sarebbero state correttamente condivise con gli investitori.
Rischia di avere strascichi pesanti l’esordio di Facebook in Borsa.
E, come molti sottolineano in queste ore, quella che doveva essere la quotazione del secolo, emblema della crescita dei social network e del valore delle relazioni, rischia di tradursi in una campo minato per l’azienda, per Morgan Stanley che l’ha guidata in Borsa e per lo stesso Nasdaq.
Le accuse sono pesanti.
Si sostiene infatti che alcune stime degli analisti, che nei giorni immediatamente precedenti la Ipo avevano rivisto al ribasso le previsioni sull’azienda, non siano state comunicate in modo adeguato e che comunque vi sia stata una accurata selezione delle informazioni sull’azienda.
Ciò ha comportato una crescita del valore delle azioni nei giorni precedenti alla Ipo, fino ai 38 dollari del debutto, per poi precipitare a 32 dollari nel giro di tre giornate di contrattazione.
Ecco dunque partire la prima azione legale, promossa da un gruppo di investitori contro Facebook e contro Morgan Stanley.
L’accusa è precisa e chiama a rispondere tra gli altri anche lo stesso Mark Zuckerberg, oltrer a Goldman Sachs e JPMorgan, accusati di aver avvisato della revisione delle stime solo un gruppo selezionato di sottoscrittori e non tutti quanti avevano espresso intenzione di aderire alla Ipo, causando danni materialmente misurabili.
Non solo.
Oltre alla class action, alla questione si stanno interessando la Sec americana (Securities and Exchange Commission), l’authority finanziaria, oltre ai comitati bancari della Camera e del Senato americano, che hanno chiesto di vederci chiaro sulle modalità con le quali la Ipo è stata condotta.
In questa fase, nessuna delle realtà coinvolte ha rilasciato alcuna dichiarazione.