Parlando di smart city e Internet of Things spesso ci si attarda in discussioni sulle tecnologie di base (sensori, beacon, telematica, tracker, applicazioni mobili, dispositivi di geolocalizzazione), perdendo di vista il valore di business.
Come nota il ceo di Emc Italia, Marco Fanizzi, molti pongono un’equazione: milioni di diversi dispositivi connessi, sommati a enormi quantità di dati, uguale massima confusione.
Del resto la possibilità di catturare, archiviare e gestire dati generati dai dispositivi, combinati con quelli del nostro corpo, apre scenari illimitati.
Applicando il paradigma alla città, i dispositivi che la compongono (semafori, parchimetri, strumenti meteo) e videocamere (traffico, traffico pedonale e ciclabile di flusso) generano dati che, combinati con quelli che provengono da social media, avvisi istituzionali o che riguardano il territorio, offrono un quadro sulle attività della città, le sue problematiche e la sua vita economica e sociale.
Tuttavia, osserva Fanizzi, una città connessa non significa che sia “intelligente”. Può però diventare “smart”.
Come si diventa “smart”
Si comincia con l’identificare un bisogno chiave per la città o gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Ad esempio, a fronte di un obiettivo come “Migliorare il flusso del traffico”, bisogna analizzare le decisioni che devono essere prese per raggiungerlo.
Questo implica interventi su più aree da organizzare:
- traffico: nuove strade, corsie, rotonde, piste ciclabili, attraversamenti pedonali, passaggi a livello, fermate dell’autobus.
- riparazione strade: rifacimento manto stradale, materiali e attrezzature necessarie.
- rilascio di permessi di costruzione: tipologia di permessi necessari, impatto sul flusso di traffico, tempistiche richieste, numero di dipendenti da considerare.
- gestione eventi: impatto sul normale flusso di traffico, data, ora, luogo e durata degli interventi.
- aree di parcheggio: dove, con quali caratteristiche.
Una volta che si è consapevoli delle decisioni da prendere, il passo successivo è ipotizzare le domande/obiezioni che i cittadini potrebbero sollevare, e trovare le risposte.
Questo processo aiuta a identificare le variabili decisionali, oltre che a scoprire nuovi elementi (cioè altre fonti di dati) che possono concorrere al raggiungimento dell’obiettivo.
Dati no filter
In questa fase del processo, per Fanizzi, è importante considerare tutte le fonti di dati, senza alcun filtro.
Procedendo, si deve valutare il valore dell’iniziativa (il business) e la fattibilità di attuazione di ciascun elemento/fonte.
Il passo finale è testare i diversi modelli di analisi, non è insolito provare anche 10 o 20 modelli differenti, che devono portare alle decisioni ottimali.
Un esempio: studiare la relazione tra eventi che tendono a verificarsi nello stesso momento, capire i tempi necessari per smaltire il traffico dopo un determinato evento, comprendere l’impatto di eventuali cambiamenti nei comportamenti dei conducenti, introdurre funzionalità di sentiment analysis sui social media per scoprire le aree di insoddisfazione dei cittadini.
Da città connessa a intelligente
In sintesi, il passaggio da “connessa” a “intelligente” per Fanizzi necessita di molto lavoro preparatorio.
Ma gli sforzi maggiori sono da prevedere successivamente, quando le decisioni prese dovranno essere sostenute e argomentate.
Questo è il modo più produttivo di utilizzare i dati: il fatto di avere tanti dati connessi tra loro è utile solo se questo porta a prendere decisioni migliori e a essere più intelligenti.