Fastweb, Vodafone e Wind: senza Telecom la newco è difficile

Un progetto con una visione a lungo termine, per la cui realizzazione servono però le adesioni di tutti i player e il placet delle Authority.

Se fosse una partita a poker sarebbe il rilancio con il quale si cerca di convincere l’avversario a scoprire il suo gioco. Se fosse un incontro di pugilato sarebbe l’attacco con il quale si cerca di mettere il contendente nell’angolo.
In realtà né di poker né di boxe si tratta, ma di qualcosa che ha a che fare con lo sviluppo dell’infrastruttura di comunicazione del nostro Paese, con la politica e con le grandi battaglie per la deregulation.

Quello che fino a qualche ora fa ancora sembrava il progetto di Fastweb, Vodafone e Wind per la costituzione di una newco per le reti di nuova generazione, dopo la presentazione odierna per voce degli amministratori delegati delle tre aziende assume tutto l’aspetto di una sfida diretta a Telecom e di una forte pressione al Governo.

Il progetto, così come presentato da Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Wind, vuol’essere una “alternativa allo status quo”, un progetto al quale sono invitati a partecipare tutti gli operatori.
“Non ha più senso oggi – chiarisce il manager – realizzare più reti in concorrenza. Non ci sono le condizioni né dal punto di vista degli investimenti, né dal punto di vista dell’impatto urbano. È necessario piuttosto lavorare a un progetto Fiber To The Home che porti la fibra direttamente alle case, garantendo nel contempo a tutti gli operatori uguale accesso alla rete in concorrenza tra loro”.

“Il presupposto tecnologico che rende sensato ed economicamente conveniente il progetto – precisa Carten Schloter, amministratore delegato di Fastweb – è che si investa nella capacità di rete con una visione a lungo termine, convergendo verso uno standard unico, condizione irrinunciabile per evitare confusione. Il nostro orientamento, analogo a quello di altri Paesi nel mondo, privilegia l’architettura punto a punto che garantisce banda illimitata e consente la competizione tra operatori diversi”.

Il primo pilota parte su Roma nel quartiere Fleming e coinvolgerà entro il mese di Luglio circa 7400 unità immobiliari. Tutti i clienti di Fastweb, Vodafone e Wind della zona verranno migrati senza costi aggiuntivi alla rete in fibra e potranno da subito disporre di 100 Mbit di banda in downstream. Successivamente, ed entro i prossimi cinque anni, verranno coperte quindici città per circa dieci milioni di abitanti, con un investimento complessivo di 2,5 miliardi di euro e un obiettivo di pareggio finanziario sull’arco di nove anni.
In una prospettiva di più lungo termine, vale a dire da 5 a 10 anni, il progetto coinvolgerà 500 comuni, per un totale di 30 milioni di abitanti. In questo caso l’investimento sale a 8,5 miliardi di euro, con un obiettivo di pareggio finanziario sugli 11 anni.

Tutto quadrerebbe, se non ci fossero le conditio sine qua.
Perché questo progetto ha senso se e solo se tutti i clienti migrano su fibra. Perché l’installazione e la manutenzione della fibra riesce ad avere un costo inferiore a quello della sola manutenzione del rame solo se tutti adottano linee Ftth.
Ed è evidente che questo presupposto si realizza solo se gli altri player, Telecom in testa, seguita però anche da Tiscali, BT e dagli altri operatori presenti, scelgono di essere della partita.

Non solo.
Non si può non fare i conti con le Authority, Agcom in primis, finora non molto favorevoli alla costituzione di una società della rete a partecipazione mista.

I nodi al pettine sono parecchi dunque e poco vale, in questa fase, la chiamata agli investitori, siano questi la Cassa Depositi e Prestiti, più volte invocata, le Banche, le utility, i privati.
Mancano le adesioni determinanti.
Durante la conferenza, arriva la notizia che Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo economico, al quale, come prassi richiede, il progetto è stato annunciato nei giorni scorsi, non sarebbe contrario.
Ma i tre partner sembrano volere qualcosa di più di una semplice adesione morale.
Paolo Bertoluzzo, amministratore delegato di Vodafone, parla di un modello analogo a quello adottato per la Tv con la migrazione al digitale terrestre. Il che, tradotto in altri termini, potrebbe voler dire un approccio legislativo, che di fatto “imponga” la migrazione alla fibra a tutti i player.

Esistono davvero le condizioni, perché il progetto possa partire?

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