Aumenta la necessità di garantire la consistenza dei dati di sintesi e certificare il loro processo di formazione. L’adeguamento a standard e leggi assume una rilevanza strategica per molte realtà.
Quando si parla di corporate governance (di fatto, la trasparenza dei risultati aziendali), chissà perché si pensa che sia una faccenda che riguarda solo le grandi realtà quotate in Borsa. Si tratta di una questione che va, in realtà, ben al di là delle implicazioni relative all’aderenza a normative imposte, ma che investe la certificazione della qualità e il rispetto degli standard. Una recente indagine dell’Università Carlo Cattaneo (Liuc) di Castellanza, svolta in collaborazione con OutlookSoft, ha cercato di valutare lo stato dell’arte di questo approccio nel nostro Paese. L’indagine ha coinvolto un centinaio di aziende, quotate e non, di varie dimensioni, operanti in diversi settori del sistema economico. “Circa il 90% del campione dell’Osservatorio Bpm Lab – sostiene Alberto Bubbio, docente della Liuc, che ha curato l’indagine – sembra avere ben chiare le idee sul ruolo della corporate governance, definendola un’opportunità per dare trasparenza alla gestione aziendale, oltre che per governare la complessità dei rapporti con gli azionisti, la comunità finanziaria e i partner”. L’analisi dei dati ha evidenziato che tale metodologia in Italia è adottata, in moti casi, più per dovere che per vera cultura manageriale. “Inoltre – commenta Bubbio -, non sempre i meccanismi operativi, impiegati per migliorare i processi decisionali e monitorare le performance, sembrano essere impostati per garantire un’efficace ed efficiente gestione delle dinamiche aziendali”. L’utilizzo di strumenti di intelligenza diffusa, in questo contesto, risulta fondamentale e il 70% circa delle aziende quotate intervistate (il 47% di quelle non quotate) produce report abbastanza complessi. Tuttavia, poche adottano un framework strutturato, come quello suggerito da Gartner riportato in figura, in grado di garantire un reale “governo dei numeri”. Solo il 4% delle aziende intervistate, infatti, utilizza analisi per differenti tipologie di attività e Key performance indicator, anche se il budget è allineato già alle balanced scorecard nel 52% delle aziende quotate e nel 47% di quelle che non lo sono.
Tecnologia e best practice
Le organizzazioni capiscono che la necessità di conformarsi ai dettami imposti dagli standard non può compromettere l’integrità dei processi di business. Il supporto della tecnologia, unito all’ottimizzazione delle procedure risulta, quindi, necessario per agire in modo appropriato. L’adozione di una infrastruttura di questo tipo garantisce, inoltre, benefici addizionali quali una maggiore trasparenza dei processi o l’ottimizzazione delle procedure contabili, dai quali trarrà giovamento l’azienda nel suo complesso. La corporate governance, intesa nella sua accezione più ampia, include molto più del puro software. Comprende i processi utilizzati per gestire le performance (come la formulazione delle strategie, il budgeting e il forecasting); le metodologie utili a indirizzare i processi (come balanced scorecard oppure il Value based management) e le metriche, impiegate per misurare i risultati e confrontarli con gli obiettivi prefissati. Implica l’integrazione delle tecniche di finanza con pratiche e processi di business. “Le aziende che più di altre sono sensibili a questa tematica – chiarisce Federico Della Casa, general manager di OutlookSoft – sono quelle che hanno una grossa esposizione debitoria e un azionariato diffuso. Il mondo regolatorio sta complicando talmente tanto la reportistica e l’analisi che le aziende sono, di fatto, forzate a investire in strumenti in grado facilitare le procedure di esposizione dei dati”. Si tratta di un processo non semplice, che impone agli auditor interni di validare le procedure di contabilità e di rendere trasparenti i processi di business e che deve investire la direzione. Sì, perché le persone deputate alla governance dei processi fanno (nel 74% del campione intervistato dall’Università di Castellanza) parte della direzione finanziaria, mentre solo il 9% circa degli intervistati ha chiarito che questa funzione fa capo direttamente al Cda.
Il nodo della compliance
Il tema della governance non può essere disgiunto da quello della conformità (compliance) rispetto a leggi, regolamenti e standard imposti ai diversi settori produttivi. Gartner definisce il compliance management come il processo deputato a razionalizzare le attività di gestione della conformità, fornendo funzionalità di archiviazione dei record e dei dati, assicurandone il rapido accesso e la stretta aderenza alle normative. Le funzionalità di base dei software che garantiscono la compliance vanno dalla gestione dei record al workflow, dalla collaborazione per arrivare sino alla gestione dei dati sulla base delle policy. L’elemento storage risulta, quindi, fortemente coinvolto. Tuttavia, queste funzionalità rappresentano solo la risposta a necessità primarie. Un’azienda che intenda gestire la conformità in maniera corretta dovrà, necessariamente, dotarsi di software che includano il Business process management (Bpm), il Corporate performance management e la gestione dei rischi, con elementi che, pertanto, investono maggiormente l’arena Bi. Di fatto, il rischio di sviluppare, fare il deploy e utilizzare nuove applicazioni It crescerà parallelamente al rilascio di normative che, soprattutto in materia di qualità di prodotti e servizi, migliorerà le possibilità di controllo dei consumatori lungo la filiera produttiva.
La gestione della conformità può essere garantita solo integrando, in modo appropriato, la tecnologia di Business intelligence all’interno di tutti i processi, tecnici e non, per riuscire a documentarli al meglio. Tali strumenti, se non risolvono completamente il problema, possono tuttavia aiutare in tre modi. Anzitutto, le organizzazioni possono finalmente comprendere appieno processi e operazioni, riuscendo a rafforzarli e testarli. I processi sono meglio documentati e tracciabili. Infine, gli operatori possono generare report, quando necessario, con un minimo sforzo addizionale. “Di fatto, questo approccio cambia le necessità di Business intelligence delle aziende, che hanno bisogno di dati più frequenti e di qualità più alta in termini sia di sicurezza che di incisività – conclude Della Casa -. Inoltre, l’informazione risulta più estesa perché si tratta di informare sempre più persone diverse per scopi differenti. Si cerca di generare informazioni che siano centrate e tagliate su misura del singolo operatore e questo impone uno sforzo nella revisione dei processi di account, budgeting e controllo. Frequenza, qualità e democratizzazione dell’informazione sono fenomeni ricorrenti e, attorno a questi, occorre rivedere i processi e razionalizzarli”.