Per la società, apripista in questa modalità di licensing, le soluzioni Saas introducono nelle aziende l’importante paradigma dell’innovazione continua
Dicembre 2009
Forte delle enormi risorse computazionali delle sue server farm, Google è stata uno dei primi service provider a lanciare un’offerta Saas con le Google Apps che, nella versione consumer, oggi registrano 20 milioni di utenti, mentre la versione enterprise, battezzata Google Apps Premier, di utenti ne ha già due milioni, e la versione Education è presente in sei milioni di università.
«Le applicazioni Saas non solo introducono un nuovo modello di licensing, ma anche un nuovo paradigma di innovazione continua – sostiene Gaetano Gargiulo, channel manager Google Enterprise Italy -. Infatti, il limite più evidente della modalità di licensing tradizionale è che il software rimane con le stesse funzionalità finché non si rende disponibile una nuova release, che necessita di essere nuovamente installata. Invece, con le Google Apps Premier durante il periodo di validità dell’abbonamento ogni nuovo aggiornamento viene automaticamente inserito nella suite. In media si tratta di una trentina di nuove funzioni ogni mese».
Ci sono, poi, altri vantaggi ugualmente importanti, aggiunge Gargiulo, come l’utilizzabilità da qualsiasi punto di accesso, la scalabilità e la facilità di amministrazione. Google non ha tenuto tutto il business per sé, ma lo ha diviso con i suoi partner.
«Il passaggio alle applicazioni cloud – continua Gargiulo – rappresenta un cambio di paradigma e di approccio, e questo non va negato: il supporto di un partner esperto che accompagni e faciliti la transizione è fondamentale. Perciò a gennaio 2009 abbiamo lanciato il programma di partnership per Google Apps: puntiamo moltissimo sui nostri partner sia per integrare le soluzioni all’interno dell’infrastruttura dei nostri clienti, sia per sviluppare applicazioni personalizzate».
Secondo Google non esiste nessun ostacolo di tipo tecnologico che possa limitare lo sviluppo di Saas, anzi.
«I veri ostacoli di tipo tecnologico sono offerti dalle soluzioni tradizionali – precisa un po’ polemicamente Gargiulo – e si chiamano: necessità di gestire i backup, la ridondanza, i disaster recovery. Tutti aspetti per gestire i quali le aziende devono spendere moltissimi soldi. Investimenti, tra l’altro, che non tutte le realtà possono permettersi. Questo nuovo approccio, invece, apre nuove modalità tecnologiche nel modo di collaborare e di accedere all’informazione».
Quanto alla velocità d’adozione, l’Italia, secondo Gargiulo, è allineata rispetto al resto d’Europa: «C’è solo un leggero ritardo “fisiologico”: da sempre il Sud Europa è meno pioniere e più conservatore del Nord Europa».