Ovvero, della genetica del bit, prevalente nel fare impresa, e dell’incipiente grigiore.
Le grandi aziende informatiche sono fatte in modo binario. Sono caratterizzate da una simbolica combinazione di 0 e 1 sin dalla nascita, che si trascina nei geni, anche se cammin facendo se ne scopre uno prevalente.
La conformazione iniziale è sempre la stessa: uno dei due ha il bernoccolo degli affari, mentre l’altro è un tecnologo romantico.
Per un po’ il rapporto funziona, poi uno dei due lascia il passo all’altro
Facile indovinare chi si “perde per strada” (in realtà mai questo perdersi è più dolce e ben remunerato). Ne rimane uno al timone e diventa l’emblema.
In ordine di prevalenza; Bill Gates e Paul Allen per Microsoft; Steve Jobs e Steve Wozniak per Apple; Mark Zuckerberg ed Eduardo Saverin per Facebook; Larry Page e Sergey Brin per Google.
Ripercorriamo ora questo filone di storia It proprio perché la cronaca ci ha restituito il fenomeno: Larry Page è diventato Ceo di Google.
Decisione non patita, riportano le cronache, studiata a tavolino per agevolare il processo decisionale (dicunt) e liberare le mani di Brin, profumata remunerazione dell’ex-ceo, Eric Schmidt (100 milioni di dollari in stock option).
Fatto sta che uno dei due co-fondatori va dietro le quinte, l’altro sotto i riflettori.
La decisione va proiettata sul lungo periodo e va anticipato il film. Quando uno dei due creatori prende da solo il timone le cose sono destinate a cambiare.
Google non è più una start-up ormai da una vita. Ma nell’immaginario gode ancora di una certa immagine libera e libertaria. Con la nomina a Ceo di uno dei due fondatori pensiamo che questa sia destinata a mutare.
L’azienda è più concreta e colorata che mai. Ma le toccherà assumere anche un tono di grigiore, che si confà alle aziende quando diventano mature e le responsabilità dei padri crescono. Appuntamento a cinque anni per verificare che sarà accaduto.