Quando si parla di Pmi uno degli argomenti più inflazionati e non di rado usato a sproposito è la globalizzazione.
A questo termine sono stati assegnati infiniti significati, per lo più negativi. Come troppo spesso accade, un cambiamento importante viene percepito immediatamente come deleterio, e si cerca conseguentemente di mantenere lo status quo; una operazione che è tanto infruttuosa quanto poco saggia.
Spesso spinte da questo atteggiamento conservativo, finora moltissime Pmi hanno visto con il fumo negli occhi la diffusione dei mercati online, visti come avversari da combattere, per di più con armi ben poco efficaci.
È del tutto evidente che per una Pmi, ma non solo, competere sul mercato oggi presenti sfide diverse rispetto a quelle di pochi anni fa.
Abbiamo volutamente indicato “ma non solo”. Anche i giganti del commercio tradizionale possono essere colpiti al cuore dalla scarsa comprensione dei nuovi fenomeni digitali.
Non si contano, infatti i grandissimi nomi che non hanno saputo reinventarsi e hanno chiuso i battenti: da Blockbuster a Toys R’ Us, aziende da miliardi di dollari si sono trovare a portare i libri in tribunale, con migliaia di posti di lavoro persi, e intere famiglie lasciate senza lavoro.
Quindi, la sopravvivenza e la prosperità di una attività nel nostro periodo storico non è necessariamente legato alle dimensioni. Ovviamente, una Pmi è più esposta ai rischi, anche per la minore possibilità di sopravvivenza a lungo termine durante una crisi economica o di cambiamento.
L’ecommerce è una livella
Fra i tasselli oggi non più opzionali ma indispensabili per rimanere sul mercato, possiamo senza dubbio annoverare il mercato elettronico, più comunemente conosciuto come ecommerce.
È facile comprendere le difficoltà, anche di ordine culturale, che deve affrontare un piccolo imprenditore per approcciare un mondo nuovo.
Infatti, si tratta a tutti gli effetti di reinventare la propria attività. Quasi un nuovo inizio, perché le logiche che regolano il commercio online sono oggettivamente dissimili da quelle tradizionali, spesso legate a rapporti personali o nelle quali è comunque possibile fare leva sulle proprie capacità individuali nella relazione venditore/cliente.
Il rapporto non viene comunque a mancare, anzi per certi versi si intensifica; tuttavia prende forme ben diverse dalle dinamiche cui si è abituati (spesso da lungo tempo).
Per questo, ben più che un investimento di natura economica (spesso peraltro abbastanza esiguo) si tratta di una svolta mentale e culturale.
Innumerevoli studi e ricerche hanno sfortunatamente evidenziato come, in questo aspetto, il nostro Paese sia agli ultimi posti in Europa, a tutto svantaggio della competitività generale.
Tuttavia, la renitenza ad approcciare nuovi mercati e nuove forme di commercializzazione non ha più scusanti.
La scelta, piaccia oppure no, rischia di essere piuttosto netta: si possono abbracciare nuovi canali di vendita, oppure rimanere tagliati fuori da essi. Quest’ultima è una opzione certamente deleteria.
Potrebbe non avere ripercussioni immediate, ma quando vi accorgerete che gran parte dei vostri concorrenti fa già parte del mercato online, sarà troppo tardi per entrarci.
È esattamente quello che è successo a Toys R’ Us: ha dapprima ignorato il nascente fenomeno ecommerce, e quando il management si è accorto del grave errore strategico, era ormai troppo tardi. L’’ingresso tardivo non ha più permesso di recuperare posizioni, e in poco tempo è sopraggiunto il fallimento.
Le due strade: il mercato o il proprio negozio
Per fortuna, le soluzioni tecnologiche per accedere ad un ecommerce non sono più complesse come potevano essere alcuni anni fa. Le competenze richieste sono, nei fatti, più commerciali che informatiche. Non vanno in entrambi i casi sottovalutate, e chiedere una consulenza da esperti del settore potrebbe essere una buona scelta, anche per evitare di inciampare in qualche errore iniziale difficile da correggere in un secondo tempo.
Per le Pmi esistono principalmente due differenti strategie per approcciare il commercio online: la prima, è aprendo un negozio virtuale su un grande mercato online, principalmente identificabile con Amazon.
La seconda strada prevede la creazione di un proprio ecommerce, da proporre attraverso un sito dedicato, sfruttando una serie di piattaforme di ecommerce presenti su Internet.
Per una Pmi non esiste una scelta perfetta: entrambe le possibilità hanno vantaggi e svantaggi, senza dimenticare che non tutte le aziende sono uguali e la stessa scelta produrrebbe risultati differenti.
Sinteticamente potremmo dire che aprire un proprio negozio su Amazon (ma non solo) è questione sicuramente di pochi click, mentre una piattaforma e-commerce richiede più tempo e talvolta ha interfacce utenti meno user-friendly.
Per contro, Amazon impone le proprie regole e (soprattutto) margini di guadagno certamente diversi da quello che potremo avere su un nostro e-commerce. Ma le differenze sono moltissime, e le considerazioni da fare richiedono tempo ed attenta riflessione.
Non ultima quella legata alla visibilità, incerta su un sito proprietario, maggiore su portali di dimensioni mondiali; anche in questo caso, tuttavia, saremo in competizione con un numero potenzialmente infinito di negozi concorrenti.
Insomma, non è davvero possibile fornire una risposta definitiva e applicabile ad ogni situazione. Possiamo sicuramente darvi però una panoramica sintetica delle più diffuse piattaforme utilizzabili dalle Pmi.
Amazon
Amazon è senza nessun dubbio il più grande store online del mondo (occidentale, se non altro), al punto da essere il benchmark per qualsiasi altra piattaforma o negozio online. Il numero di negozi virtuali su Amazon è altissimo, e sono numerose le possibilità offerte ai negozianti e alle Pmi che scelgono di avviare una collaborazione con il gigante di Seattle.
È possibile vendere su Amazon come venditore di base oppure come venditore pro.
In entrambi i casi esistono costi da sostenere; il piano base è privo di costo mensile, che nel momento in cui scriviamo è di 39 euro IVA esclusa. Tuttavia ha un costo fisso di 99 centesimi ad articolo venduto, oltre ad una serie di limitazioni che lo rendono oggettivamente poco adatto a chi abbia uno scopo professionale in senso stretto. Ha sicuramente il pregio di permettere (ad esempio) di testare uno strumento sicuramente efficace ma probabilmente nuovo, per molte Pmi italiane.
Il meccanismo di Amazon è ben rodato ed efficace, ed offre ai venditori reportistica avanzata, supporto logistico ed anche strumenti di pubblicità e marketing per accelerare il business.
Tutto ha un costo, come è facile immaginare; sta alla vostra valutazione considerare i pro ed i contro di ogni potenziale offerta e campagna. Del resto, è esattamente questa l’essenza della attività di un imprenditore e di una Pmi.
eBay
Un altro nome certamente popolarissimo è eBay, che da tempo ha cambiato pelle. Della piattaforma di aste online degli albori è rimasto ben poco, e sebbene sia possibile vendere e comprare oggetti nella tradizionale formula delle offerte a rilancio, oggi una parte preponderante del sito è costituita da negozi online, creabili a partire dalla pagina dedicata del sito eBay.
Il sistema è piuttosto diverso da quello di Amazon; va anche detto che su eBay non esiste la possibilità di appoggiarsi alla struttura della società americana, che funge esclusivamente da mercato online.
Sarà quindi il negozio a dover occuparsi della gestione del rapporto con il cliente. Un rapporto che, va detto è sempre essenziale. Ma nel caso di eBay ancor di più: ad esempio, per poter aprire (e mantenere) un negozio Premium Plus, fra i requisiti non negoziabili c’è aver ottenuto in media un punteggio dettagliato del venditore non inferiore a 4.6 per 12 mesi. Ecco perchè (se avete comprato da eBay vi sarà facilmente successo) i venditori sono sempre estremamente attivi nel richiedere feedback a 5 stelle.
A differenza di Amazon, dove è più forte la predominanza di recensioni prodotto, su eBay il successo o il fallimento è più legato alla reputazione del venditore stesso.
Nuovamente, anche questo fa parte del “dovere” di un imprenditore. Anche in attività esclusivamente offline è essenziale saper soddisfare il cliente, e saperne gestire problemi ed obiezioni. Le logiche di base delle relazioni non cambiano in funzione della piattaforma.
La grande differenza, rispetto ad un negozio di quartiere, è che la risonanza del lavoro non ha confini. Se saprete gestire al meglio i clienti, ne godrete i meritati frutti.
Ma se pensate di poter anche solo sottacere una lamentela, magari opportunamente documentata, sappiate che è uno dei sistemi più rapidi ed efficaci per arrivare al fallimento: oggi, se un cliente decide di farvi pagare un comportamento irriguardoso, ha a disposizione un arsenale davvero temibile, e contro il quale rimane poco da fare. Secondo molti analisti è proprio nella gestione adeguata del post-vendita che si giocano le partite più importanti, e non durante la vendita.
Magento
Esistono, come anticipato, anche piattaforme di ecommerce che potere utilizzare per creare un vostro store proprietario, di cui avrete onori ed oneri.
Una delle più storiche (essendo nata nel 2008) è Magento. Acquisita nel 2018 da Adobe, è un CMS open source da lungo tempo ai primissimi posti per diffusione. Sono centinaia di migliaia i siti basati su Magento, anche in virtù della sua natura open source.
Attenzione però: pensare a Magento come ad una piattaforma a costo zero sarebbe non solo sbagliato, ma anche ingannevole. La complessità ed estrema configurabilità, caratteristica non di rado frequente nel mondo open source, lo rende un prodotto non per tutti.
Se non avete una più che solida competenza informatica, vi sconsigliamo senza dubbio di approcciare Magento senza il supporto di un valido professionista.
Questo non significa affatto che sia meglio passare ad altro, e i numeri poc’anzi riportati sulla diffusione ne sono un chiaro esempio. Semplicemente, in questo caso servirà un supporto qualificato. Ecco perché non si può certo parlare di soluzione priva di costi nel suo complesso.
Shopify
Una piattaforma la cui popolarità è in netta crescita è Shopify. Qui il modello di business è tramite subscription, con commissioni che sono sempre meno onerose quanto più ricco sarà il pacchetto scelto. Ad esempio, con Advanced Shopify (il più completo) le provvigioni sono dello 0,5% a vendita; per contro il costo mensile è di 299 euro.
Shopify è flessibile, e permette sia di integrare la piattaforma su un proprio sito e dominio, che di scegliere di avviare tutta la procedura (hosting compreso) tramite Shopify stessa.
Un supporto dedicato sempre disponibile dimostra come il business model sia piuttosto diverso rispetto a Magento, e rivolto anche a clienti non necessariamente altamente qualificati in quanto a competenze informatiche.
Woocommerce
Una ulteriore alternativa, diversa dalle precedenti, la offre Woocommerce.
Woocommerce infatti è un plugin open source per WordPress, a sua volta il CMS più utilizzato al mondo (basti dire che più di 60 milioni di siti web sono basati su WordPress).
La sua natura open source, al pari di Magento, non deve far pensare ad un approccio a costo zero. Anche solo la quantità sterminata di aggiunte ed opzioni a pagamento disponibili sul sito sarebbe sufficiente a sgombrare il campo da qualsiasi equivoco; se non bastasse ricordiamo che anche in questo caso è sicuramente largamente raccomandabile la scelta di affidarcisi a sviluppatori esperti.
Prestashop
In ultimo, merita una menzione Prestashop.
Prestashop è, al pari di WordPress, un CMS. A differenza di quest’ultimo, nasce nel 2007 interamente pensato per lo sviluppo e la gestione dell’e-commerce.
Prestashop si differenzia per una interfaccia che, quantomeno per le attività di base, è sicuramente alla portata anche di utenti neofiti. I più esperti non rimarranno comunque delusi dalla gamma sterminata di plugin, e la community è piuttosto attiva.
Anche su Prestashop esistono una serie di addon e moduli a pagamento, e sebbene sia sicuramente possibile avviare da soli lo store, data la natura critica di una piattaforma del genere è consigliabile quantomeno una consulenza qualificata.