C’è un fattore chiave dal quale dipende il successo di ogni azione condotta sui big data: la big science. È l’analisi permessa dalla big science, infatti, a rendere i dati rilevanti.
Secondo il World Economic Forum ci troviamo nel pieno dell’ “era dei big data” e non è certo un caso che, seguendo l’operato di aziende del calibro di Google, Facebook, Adobe System e IBM, anche molte startup abbiano iniziato a offrire servizi che promettono di aiutare le aziende a scoprire una delle risorse più preziose a loro disposizione.
L’intenzione, tuttavia, non basta.
Secondo Alex Yoder, CEO di Webtrends, c’è un fattore chiave dal quale dipende il successo di ogni azione condotta sui big data. E questo fattore si chiama big science.
“Uno degli ultimi report del World Economic Forum – dichiara Yoder – paragona il valore dei dati a quello dell’oro; altri ancora, definscono i dati “il nuovo petrolio. Proprio come l’oro o il petrolio però, i dati non hanno alcun valore intrinseco: l’oro infatti deve essere estratto e lavorato prima di arrivare nelle gioiellerie e il petrolio richiede estrazione e raffinazione prima di trasformarsi in benzina. Allo stesso modo, i dati richiedono processi quali raccolta, estrapolazione e analisi prima di poter davvero offrire un valore reale ad aziende, enti pubblici e individui”.
Ricche di dati ma povere di informazioni approfondite: così Yoder vede oggi le aziende, sommerse da un flusso di dati che, secondo IDC, cresce del 50% di anno in anno.
Ed è qui, a suo avviso, che si inserisce la big science.
“La raccolta e l’estrazione di enormi quantità di dati digitali, ciò che oggi definiamo big data, sono processi che già le aziende normalmente fanno. L’analisi di quei dati, il magico ingrediente di algoritmi e matematica avanzata che colma il divario tra conoscenza e comprensione è compito della big science”.
In altre parole, è l’analisi permessa dalla big science a rendere i dati rilevanti.
L’unione tra big science e big data crea grandi opportunità attraverso tre elementi principali: contenuti rilevanti in tempo reale, visualizzazione dati e analytics predittive.
”Sebbene sia convinto che queste tendenze risultino particolarmente importanti per un’azienda come Webtrends e per chi opera nel nostro stesso settore, quello delle analytics e digital marketing, tuttavia non ho dubbi che avranno un notevole impatto anche su altre aree. È evidente, infatti, che, nel tentativo di domare e sfruttare i big data, i Chief Marketing Officer arrivano sempre più ad assomigliare a Chief Information Officer. Fare marketing oggi significa fornire il messaggio giusto al target giusto nel momento giusto, ed è la big science, non i big data, a rendere questo possibile”.
Per quanto riguarda nello specifico il settore del marketing, gli analisti del comparto utilizzano le analytics per raccogliere enormi quantità di informazioni digitali e lavorano con i big data già da anni, trovandosi letteralmente sommersi da enormi quantità di dati geografici, demografici ed etnografici relativi ai propri clienti.
”L’elaborazione e l’analisi di questi dati, grazie all’esperienza umana e all’intelligenza artificiale, consente ai professionisti del marketing di identificare e segmentare i propri clienti, personalizzare e indirizzare i contenuti per loro più rilevanti, offrendoli in tempo reale attraverso tutta una serie di canali e dispositivi digitali”.
In questa visione, l’intelligenza umana è la parte della big science che, grazie all’aiuto fornito da strumenti come la data visualization, contribuirà a distribuire contenuti rilevanti in tempo reale.
”La big science consente di elaborare i dati grezzi rendendoli velocemente utilizzabili. Immaginiamo che un retailer sia in grado di visualizzare e monitorare in tempo reale sia le spedizioni di nuovi prodotti sia la resa di quelli non utilizzati attraverso un’interfaccia utente efficace, semplice e dinamica. Già da questo scenario appare subito chiaro che le opportunità di ottimizzazione dei processi aziendali e di incremento del fatturato sono praticamente infinite. Ma cosa succederebbe se fossimo in grado non solo di sapere cosa accade in questo momento ma anche di avere a disposizione un modello che suggerisca come ottimizzare i risultati per il futuro? È proprio qui che la big science alimenta le analytics predittive”.
La big science delle analytics predittive sfrutterà i modelli tradizionali insiti nei big data per svelare informazioni fondamentali per ideare strategie attuali e future.
Meglio cambiare l’immagine in bianco e nero di un messaggio pubblicitario con una a colori? Se sì, che tipo di risultati mi posso aspettare? La big science può mostrare quali.
”Servono algoritmi complessi, elaborazioni potenti e, forse più di tutto, esperti di analisi per creare e gestire una big science che trasformi in “quando” la natura del “qui e adesso” propria dei big data. L’anno scorso, il McKinsey Global Institute ha dichiarato i soli Stati Uniti avrebbero bisogno dai 140 ai 190mila lavoratori in più dotati di “una forte competenza in analytics”. Coloro che diventeranno esperti nella scienza che sta dietro al fenomeno dei big data saranno i nuovi geni del digitale”.