L’innovazione richiede una rilettura della norma esistente, l’individuazione di nuove norme, la generazione di una opportuna giurisprudenza e l’uso dei tipi di contratto idonei. Anche per le start-up.
L’opera digitale e la sua diffusione per via telematica sono due facce non interscambiabili della stessa medaglia. Mancando il supporto fisico dello scambio, il rapporto tra autore, opera ed utente è del tutto nuovo, generatore di una cartografia i cui confini sono imposti dall’interoperabilità. E’ giunto il momento di parlarne con gli esperti: Prosperetti, Quintarelli, Scorza e Chiriatti, ospitati da Cloud Seed by Seeweb, il contest della cloud intensity.
Cloud e Opera digitale
Eugenio Prosperetti è un informatico prestato al diritto. Da quindici anni opera come avvocato nel settore dell’Ict su media ed Internet, ed insegna Competition Law all’Università di Siena. Da poco ha scritto un libro che copre con originalità la quasi totalità degli argomenti correlati al suo campo di attività: “La circolazione dell’opera digitale” (Giappichelli 2012) è suddiviso in quattro capitoli dedicati ad opera, circolazione, interoperabilità e contrattualistica, in particolare sul cloud computing.
“Il cloud è un business evolutosi in senso economico e tecnico in maniera molto spinta, ma senza una riflessione giuridica e contrattuale su ciò che comporta la sua adozione, compresi gli effetti sulle startup”, dice Prosperetti.
In generale abbiamo acquisito contrattualistica anglosassone e l’abbiamo adattata alla bene e meglio. “Mi sono chiesto se il nostro ordinamento già comprendesse un affidamento a terzi, in questo caso dei dati, e cosa pretendesse in cambio: l’ho individuato nel deposito, previsto dal nostro ordinamento”.
“Dopo aver letto il libro di Eugenio ed avendo approfondito gli argomenti penso che le analogie proposte da Prosperetti siano corrette”, ha commentato Stefano Quintarelli, già Direttore Area Digital Gruppo 24 Ore ed oggi Parlamentare di Scelta Civica, membro Commissione Trasporti e Comunicazioni; “quando costruimmo il primo grande datacenter italiano non ci ponemmo questi problemi legali, ma il deposito per i dati e l’appalto per le applicazioni in Saas sembrano adatti”.
“Riferirsi a norme preesistenti limita le incertezze e semplifica il lavoro di tutti”, conferma Guido Scorza, giurista informatico. “Ho una perplessità relativa all’accesso”, nel senso di disponibilità dell’oggetto o servizio anche non fisico: “ovviamente Il legislatore che ha scritto la norma sul deposito aveva in mente il possesso e non l’accesso”.
“Mi pongo il problema del contratto”, s’interroga Massimo Chiriatti, tecnologo. “Forme diverse di cloud, ad esempio Google Drive e i video su Youtube, erogate dallo stesso fornitore, possono avere gli stessi terms and conditions?”
Start-up, cloud e Ip
Sia per i servizi cloud acquistati sia per quelli venduti le start-up devono fare attenzione alle scelte, perché non hanno una competenza pregressa. “E’ importante individuare fin dall’inizio il tipo di cautele legali per evitare problemi successivi che possono essere anche grossi”, ha detto Prosperetti.
“La remunerabilità di chi ha diritti sulle opere d’ingegno ha dei buchi; siamo molto attenti alla produzione ma non alla fruizione”, ha aggiunto Quintarelli. “A mio avviso, i contratti d’uso sono vessatori per gli utenti europei”.
Una soluzione potrebbe essere l’inserimento di metadati: aggiungere all’opera dei dati sui diritti è semplice e di facile realizzazione.
“Quando c’è opera digitale d’ingegno e quali sono le protezioni ammissibili?”, si chiede Prosperetti nel suo libro. “Le tecniche di protezione possono diventare modi di esclusione dal mercato e quindi contrari a due norme: la concorrenza e il diritto dei consumatori”.
Anche in questo caso, insomma, gli strumenti normativi sembrano già esistere.
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