Il B2C stenta ancora a decollare, con la parziale eccezione delle banche. Un po’ meglio sta andando il B2B, ma i volumi sono ancora contenuti. Tra i problemi maggiormente vissuti, la sicurezza, un aggiornamento tecnologico troppo lento delle Pmi e la generale crisi economica
Parlare di commercio elettronico in Italia diventa sempre più difficile. Le scuole di pensiero a riguardo, si moltiplicano e propongono svariati scenari, impostati su criteri e aspetti differenti, caratterizzati da legittime aspettative e da altrettanto legittimi scetticismi. Un’affermazione che può, tuttavia, essere condivisa è che, attualmente, l’e-commerce in Italia non sia un fenomeno di massa.
L’accesso a Internet, che un tempo, veniva indicato come lo scoglio da superare per assistere al decollo dell’e-commerce, può essere considerato un ostacolo superato. Sebbene i margini di crescita della diffusione siano ancora ampi, secondo i più recenti dati, in Italia gli utenti regolari di Internet sono aumentati in modo consistente e corrispondono, attualmente, a circa 20 milioni. Questi numeri portano l’Italia a essere il terzo paese europeo, dopo Germania e Regno Unito, per numero di utenti online. Anche a livello di infrastrutture si sono fatti progressi: l’80% della popolazione ora può attivare una connessione veloce basata su tecnologia Dsl, mentre nelle principali città si intensifica la posa dei cavi in fibra ottica.
Risolto il problema di accesso alla tecnologia, ne restano altri, da distinguere tra l’ambito consumer e quello business.
Il Business-to-consumer
I problemi che affliggono l’e-commerce B2C restano quelli di sempre.
La sicurezza è ancora un grande ostacolo. Lo sviluppo tecnologico, a questo riguardo, ha contribuito non poco a garantire la protezione degli acquirenti, ma non è riuscito a fare molto per sopperire alla mancata percezione di sicurezza, anche in considerazione del fatto che molti dei “naviganti” italiani sono giovani nell’utilizzo di Internet e dimostrano, quindi, una generale diffidenza per gli strumenti della Rete, che non conoscono o con cui hanno ancora poca dimestichezza.
Un supporto in questa direzione sta arrivando dalle banche, con una nuova iniziativa indirizzata ai pagamenti online, denominata Bankpass Web, che consente di effettuare gli acquisti senza trasmettere i propri dati sensibili in Rete. Si tratta di un servizio in cui un utente registrato presso il proprio istituto di credito, accede alla transazione attraverso l’intermediazione della banca, autenticandosi solo con un nome utente e una password; l’istituto di credito si fa garante della transazione presso il merchant, senza divulgare il numero di carta di credito. Il servizio prevede la certificazione dei merchant presso la banca, così da garantirne l’affidabilità e la serietà. Nelle transazioni con merchant non convenzionati, invece, è utilizzato un numero di carta di credito virtuale, valido per quell’unica transazione.
L’idea non è nuova. Gia un paio di anni fa, per esempio, il servizio MonetaOnline prevedeva la generazione di numeri virtuali di carta di credito e l’utilizzo di carte di credito prepagate a scalare. Allora l’iniziativa non sfondò, ma in questo caso la novità è rappresentata dal fatto che il servizio viene promosso attraverso l’e-committee, il comitato di coordinamento delle infrastrutture per l’e-banking e ha già trovato il supporto di 230 istituti bancari italiani.
Non deve stupire che le banche, solitamente tra gli operatori più tradizionali e attendisti, siano in prima linea nel promuovere questo processo di trasformazione. Il commercio elettronico offre alle banche la possibilità di proporsi come struttura di interlocuzione per le transazioni online, potendo mettere in campo il consistente numero di clienti di cui dispongono e facendo leva sulla fiducia che sono in grado di ispirare agli utenti.
La sicurezza non è però l’unico ostacolo, e l’impossibilità di “toccare con mano”, sembra precludere il successo dell’e-commerce B2C per un’ampia classe di prodotti. Anche per i prodotti più adatti a essere commercializzati in Rete, come libri e dischi, sussistono altri aspetti contingenti, quali la logistica non adeguata, politiche dei fornitori poco flessibili che consentono margini ridotti o, ancora, la generale crisi economica: si pensi, per esempio, al caso della vendita online di prodotti turistici. Per prodotti che si allontanano, ve ne sono nuovi che approdano al successo. È il caso, per esempio, della vendita di assicurazioni auto, che ha visto un vero boom negli ultimi mesi, anche a seguito dei drastici aumenti delle tariffe proposte in modo tradizionale.
Nel frattempo, pur con un numero di consumatori online crescente, il volume B2C in Italia resta ancora modesto, con i suoi 650 milioni di Euro nel 2001 e le previsioni di arrivare a 1.300 milioni di Euro nel 2002 (dati Forrester Research).
Il Business-to-business
Nell’ambito B2B, se si vuole cercare di valutare l’entità del fenomeno, bisogna distinguere le interazioni di business che avvengono attraverso la Rete, dal commercio elettronico vero e proprio. In altre parole, in quest’ultima categoria andrebbero inserite solo le relazioni che si concludono realmente con una transazione che avviene via Web.
In termini di numeri, comunque, le cose per il B2B vanno un po’ meglio rispetto al B2C, con un ritmo di crescita superiore al 50% annuo e previsioni di circa 30 miliardi di euro nel 2002 (fonte Forrester Research).
Un discorso a parte meritano gli e-marketplace che, dopo essersi presentati per diverso tempo come soluzione in grado di risolvere tutti i problemi dell’e-business, hanno un po’ deluso le aspettative. In Europa attualmente la stragrande maggioranza di queste soluzioni (l’88% secondo Forrester) non è profittevole.
In Italia i primi scambi si sono visti a partire dal 2000, ma ancora nessun operatore ha raggiunto il break even e l’offerta di servizi è scarsa e poco focalizzata. Il principale problema da risolvere è la mancanza di massa critica, che penalizza le opportunità messe a disposizione dalla possibilità di interconnessione in Rete. Ciò porta a un modello di business ancora incerto, principalmente focalizzato sul prezzo e non predisposto a sfruttare la logica di collaborazione che costituisce la vera chiave di valore aggiunto associato agli e-marketplace. A ciò si accompagna un utilizzo ancora scarso di tecnologie abilitanti (Xml) e una gestione dei processi poco automatizzata.
L’Italia, inoltre, resta un mercato influenzato dalla frammentazione del business, in molte aziende di tipo Pmi. All’interno della Pmi, in particolare, esistono ancora freni legati all’utilizzo delle tecnologie (cultura informatica e qualità della connettività), resistenze culturali al cambiamento (diffidenza a pubblicare online prezzi e offerta, maggior rischio percepito nei nuovi contatti) e difficoltà di natura operativa (manutenzione del catalogo e ricerca dei prodotti).
Da questo quadro generale, ciò che sembra trasparire sul futuro dell’e-commerce è la percezione di una ineluttabilità tecnologica, guidata dalla convinzione che, in ogni caso, con tempistica forse incerta, l’economia evolverà in tal senso sulla spinta dell’innovazione dell’Ict. Interagendo con responsabili di società, associazioni e analisti che propongono tecnologie e sistemi per l’e-commerce, si ha, tuttavia, la sensazione che anche chi promuove queste soluzioni, di fatto, non acquisti in Rete. E questo non aiuta.