Dall’archiviazione al recupero delle informazioni, in un mondo che non riesce a darsi policy e che fallisce un progetto su due. Ne parliamo con Paolo Cattolico di Hp.
Recentemente Hp ha aggiornato il proprio portafoglio di soluzioni di information management.
Un’azione che acquista peso anche sulla scorta di un’indagine di Coleman Parkes che riporta come il 68% delle aziende affermi che la crescita dei contenuti aggiunge complessità a un mondo già di per sé complesso; come la gestione delle informazioni, un tempo spettava solamente reparto It e ora coinvolge sempre più il ceo o il cda; come il 70% delle aziende non disponga di un approccio olistico alla gestione delle informazioni; come il 73% non abbia una formale policy di protezione delle informazioni globale e solamente il 18% preveda di implementarne una.
Hp ha così avviato una campagna per combattere il proliferare di silos di informazioni con metodologie e processi integrati e governati da policy e per farlo metterà a disposizione soluzioni per ogni stadio del ciclo di vita dell’informazione.
Ne abbiamo parlato con Paolo Cattolico, che di Hp è Trim Marketing manager Emea, ossia di quel prodotto di record management che recentemente è stato potenziato con la conservazione multi-giurisdizionale, con la localizzazione delle policy, con la capacità di caricamento di dati a gruppi.
Perché parlare adesso di information management e con questa vigoria?
C’è una pressione che non viene solo dall’It. Lo si percepisce parlando con i clienti. Quando cinque anni fa si parlava con i reparti It di data explosion sul fronte storage si stava tutto sommato tranquilli, si poteva pensare a un progressivo aumento delle capacità. Ma ora la situazione è cambiata. Attorno alla gestione del dato si sono aggregati con l’andare del tempo figure non It. E allora per parlare di information management non ci si può fermare solamente all’aspetto infrastrutturale.
Cosa è cambiato nel frattempo?
È aumentato il volume di informazioni e non si è approfondita la conoscenza del contenuto dei file. Aggiungiamoci le informazioni non strutturate, come quelle provenienti dagli e-mail server. Stiamo assistendo a un crescendo, che oltretutto coinvolge, per responsabilità, anche il legal office.
Insomma, pare non ci sia nelle aziende un approccio olistico alla gestione del dato…
No. E parallelamente ci sono troppi silo informativi da considerare e collegare, anche all’interno della stessa azienda.
Come si risolve il problema?
Con l’interlocutore unico, quale noi ambiamo essere. Un soggetto che ha titolo per parlare a tutti i livelli, dal documentale allo storage.
Come si fa il primo passo dentro la problematica dell’unificazione della gestione informativa?
Ribadito che sarebbe bene avere un approccio olistico, ma che non è nei fatti possibile, si parte da un aspetto specifico. Dal cosiddetto quick win, che nasce, magari, sul fronte storage. O su quello della compliance.
Poi si cerca di capire se vale la pena risolvere il problema specifico seduta stante o se invece merita andare a capire la root cause, proprio per risolvere in modo olistico il problema.
Ma è probabile che in azienda esista già una piattaforma di archiviazione…
Spesso ve ne sono. Quasi sempre troviamo un pregresso. Ci sono più sistemi di compliance in campo. E sono sempre stati fatti in modo che sia facile l’input delle informazioni, ma difficile il retrieval. A questa situazione aggiungiamoci che in Italia c’è l’appendice carta. Ossia il processo di archiviazione manuale.
In questo senso Trim che forza d’urto ha?
Intanto è disponibile in lingua italiana da un anno. La sua forza è la semplicità. Fa quello che fanno gli altri documentali, ma si installa su laptop e nel giro di pochi giorni è al lavoro sull’intero sistema documentale. E poi consente di fare prototipi. Il fattore è importante, perché è provato che un progetto di information management du due fallisce, per via di vari fattori, dai costi alle direzioni sbagliate. Il poter fare dei prototipi sul campo punta a evitare questi errori.
E il database archiving serve?
Un mercato specifico, limitato, puro It. Serve a sgonfiare un database ed estrarre le informazioni senza che le applicazioni si accorgano della remotizzazione avvenuta.
Nella lotta al proliferare dei silos si possono impostare Kpi?
Certo, con quelli che chiamiamo Transformation experience workshop, con cui si analizzano vari indicatori, dalla crescita dello storage al fattore tempo, dal costo degli audit a quello delle analisi per fini legatli. Alla fine si tirano le somme e si decidono i Kpi. Li si mette per iscritto, condividendo gli obiettivi.
Questo genera policy?
Diciamo che genera la consapevolezza che le policy servono. Se si fa un buon business case, se c’è la sponsorship del management, allora si va in tale direzione.
Esempi?
In fatto di progetti di information management, il caso di Trim, proprio su Hp stessa: la sua implementazione ha creato in azienda 6mila information manager. E poi il mondo del pharma ne è pieno.
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