Il connubbio sembra quasi scontato: architettura e informatica vanno a braccetto ormai da anni e in quasi tutte le facoltà italiane di architettura, lo studio di uno strumento come il Cad va affiancando – anche se non è ancora materia d’esame – le disc …
Il connubbio sembra quasi scontato: architettura e informatica vanno a braccetto ormai da anni e in quasi tutte le facoltà italiane di architettura, lo studio di uno strumento come il Cad va affiancando – anche se non è ancora materia d’esame – le discipline classiche come la storia dell’architettura o la scienza delle costruzioni. Sembra, però. In realtà non è un matrimonio proprio felice. Differente sembra essere per quell’altra categoria di progettisti: gli ingegneri. Tutta la parte progettuale delle strutture trova la piena approvazione degli ingegneri quando viene elaborata al computer. Una lunga serie di operazioni ridotte al minimo grazie agli applicativi strutturali. E anche per la progettazione architettonica gli ingegneri sembrano gradire le ampie possibilità dei sistemi in Cad. Perché, invece, sono ancora tanti gli architetti che storcono il naso? Partiamo dal tipo di strada che percorre uno studente di architettura prima di approdare alla professione. È fatta soprattutto di rapporto con grafite, carta lucida, fogli sui quali si schizza più volte prima di arrivare a una soluzione finita. Lo studio del disegno, della rappresentazione grafica dell’idea, passa attraverso momenti di vera e propria maturazione: personale quanto concettuale. Allora è chiaro, è fin troppo evidente, che snaturare il progetto “impoverendolo” di quel percorso, diventa cosa sgradita. Questo è il primo elemento utile per chi progetta software da destinare agli architetti. A cosa penso? A un applicativo che consenta di acquisire l’immagine elaborata a matita (o anche a china) sul lucido per svilupparla in tutte le proiezioni: prospetti, piante, sezioni e vedute prospettiche, in automatico seguendo il percorso del Cad. Qual è il vantaggio per gli architetti? Non sono costretti ad abbandonare la cara matita Hb, né il rotolo di carta lucida sul quale la visione dell’elaborato grafico (come ha detto il professore Renzullo nell’intervista a lato) è complessiva e non parziale, per cui non si corre il rischio di perdere la scala e i rapporti. Gli studi di architettura, inoltre, non vengono snaturati fino a somigliare a semplici uffici (lo hanno sostenuto gli architetti svizzeri Bassi e Galimberti nel loro intervento a pagina 13), causando un po’ una sorta di smarrimento nel professionista fino a procurargli i ben noti “stati di vuoto progettuale”. Insomma, a metà tra la sociologia e la rappresentazione, realizzare un software che riconsegni all’architetto la sua specifica funzione (che è quella di progettare, sì, ma di progettare nel complesso e non per parti), sembra poter essere una buona idea per le aziende in cerca di novità da proporre al mercato. Così come può rappresentare una svolta positiva la creazione di quel pacchetto suggerito ancora dal prof. Renzullo nella sua intervista, per contenere tutti gli applicativi utili all’architetto libero professionista. Buona idea, anche se forse un po’ costosa, potrebbe essere quella di un palmare per il rilievo. Cioè un palmare che abbia al suo interno un software per la misurazione degli interni (magari anche dell’esterno grazie ad apposite paline) e la successiva restituzione, ma che soprattutto consenta la visualizzazione del rilievo in tempo reale, durante le operazioni di campagna. Gli architetti, poi, si sa, sono dei creativi: allora perché non farli partecipare ai processi di realizzazione degli applicativi a loro destinati? Qualcuno di questi programmi mostra scarsa attenzione all’estetica, risulta poco gradevole, sia nel packaging che nella grafica al display; inoltre la stessa consulenza dei professionisti servirebbe a raccogliere quante più informazioni possibili sulle modifiche opportune, quelle, insomma, sentite più necessarie dalla stessa categoria. Chiamando un numero cospicuo di architetti a partecipare periodicamente e sistematicamente si crea anche un non poco rilevante effetto di marketing oriented, caratteristica che, diciamolo, consente all’azienda di farsi conoscere dal mercato nel momento in cui le sue strategie conferiscono priorità proprio alle esigenze del mercato stesso. Concetto arzigogolato per dire che se Microsoft riunisce cento architetti per studiare con loro un nuovo applicativo, alla fine della realizzazione avrà ottenuto cento nuovi clienti, oltre che un considerevole passa parola, oltre che un applicativo più conformato alle esigenze della categoria. Ultima annotazione è relativa all’hardware, più in particolare ai modem. L’occhio dell’architetto è quello in genere che si stanca di più rispetto agli altri professionisti. Ore e ore a disegnare, a un tavolo o davanti ad uno schermo, creano a fine giornata un fastidioso arrossamento. Le aziende produttrici obietteranno che le nuove conquiste tecnologiche hanno ormai generato monitor piatti, filtrati, più sicuri: sì, ma a che costi? In conclusione: “Senza informatica saremmo finiti”, ha giustamente osservato il presidente dell’Ordine degli architetti di Sassari, Giuliano Mossa, ma agli architetti bisognerà dare la possibilità di adeguare la cultura del progetto alla velocità del computer, senza chiedere loro di rinunciare alle prerogative di una professione tra le più antiche dell’umanità. Organizzare spazi è stata la prima necessità dell’uomo, dalla caverna alla piramide ai grattacieli. E se millenni fa certe opere venivano realizzate senza l’ausilio di un potente calcolatore elettronico, questo la dice lunga sul perché quella degli architetti è una categoria che alle software house conviene coccolare in maniera particolare, adattando le proprie produzioni e non chiedendo, invece, a questa categoria di adeguarsi a esse. Fatto questo passo, forse, dai pronipoti di Fidia e di Vitruvio potrà arrivare utile “ossigeno” per le tante aziende di software tecnico.
Marzio Di Mezza