Un quadro dinamico è quello tracciato da Roberto Binaghi, presidente di Iab, in apertura dell’ottava edizione della manifestazione milanese. Crescere e capitalizzare le parole d’ordine.
L’apertura dell’ottava edizione di Iab Forum, a Milano, non può che giocarsi nel segno dei numeri. Perché così vuole la prassi, e perché comunque meritano.
Meritano le 10.000 iscrizioni sul sito della manifestazione, in crescita del 40% rispetto alla passata edizione, meritano i 110 espositori, meritano i 5.000 metri quadri di superficie espositiva, raddoppiati rispetto al 2009.
Meritano, soprattutto, quelle cifre snocciolate da Roberto Binaghi, presidente di Iab Italia, sul mercato pubblicitario in generale e della pubblicità su Internet in particolare.
Non si azzarda a parlare di ripresa, Binaghi, che non va oltre un ardito “ripresina”, sostenendo che “le previsioni di chiusura del 2010 si attestano su un giro d’affari complessivo di 8,9 miliardi di euro, in crescita del 3,2% rispetto a un 2009 che aveva fatto registrare un calo di oltre il 6% rispetto a un 2008 decisamente fortunato”
In questo scenario, che non rappresenta ancora un recupero pieno, i segnali positivi vengono proprio dalla pubblicità online, che segna un incremento del 15% laddove i quotidiani e soprattutto i periodici mostrano tendenze negative.
“La pubblicità su Internet oggi vale l’11% dell’intero comparto – sostiene Binaghi, citando i dati Nielsen –. Il che, tradotto in termini assoluti, significa 1.000 milioni di euro di investimenti. Un traguardo raggiunto con una progressione molto veloce, acquisendo quote da altri mezzi.
Ma ancor più importante rispetto all’analisi del presente è la proiezione nel triennio a venire.
Binaghi parla di una crescita media del 15% all’anno per i prossimi tre anni, che nel 2013 dovrebbe dunque portare il mercato italiano della pubblicità online a una crescita del 50% rispetto ai 1000 milioni attuali, con una share sul mercato pubblicitario nel suo complesso nell’ordine del 15%.
Che nessuno si azzardi a tirare un sospiro di soddisfazione, però.
L’Italia, ricorda obiettivo Binaghi, è comunque fanalino di coda rispetto agli Stati Uniti, al Regno Unito, alla Germania, alla Francia e alla Spagna. E quando tra tre anni raggiungeremo il fatidico traguardo del 15% di share del mercato pubblicitario nel suo insieme, la pubblicità online negli Stati Uniti avrà tranquillamente superato il 22% di share.
Analizzare le cause di questo ritardo è fin troppo facile, se ci si vuole fermare al gap infrastrutturale. Se la banda larga ha una penetrazione inferiore a quella degli altri Paesi, se i punti di accesso wifi in Italia sono 4.000 contro i 75000 degli Stati Uniti, i 30.000 della Francia e i 28.000 del Regno Unito qualcosa vorrà pur dire.
Ma non basta.
Ci sono profonde ragioni culturali alla base del gap italiano.
“Siamo in presenza di un mercato ancora molto concentrato, nel quale gli investitori si muovono con poca continuità e costanza. Un comparto nel quale solo il 15,8 per cento degli investitori pianifica Internet. E in questo 15,8 per cento, l’8% degli spender fa l’80% della raccolta”.
Investono gli operatori del mondo delle telecomunicazioni, finanziario e automobilistico, mentre solo il 10 per cento degli spender del largo consumo pianificano Internet. E anche chi pianifica, fatti salvi i servizi professionali, ancora dirotta su internet una minima parte della sua spesa.
“Siamo ancora allo spilucco. Nessuno si è ancora seduto a tavola. Eppure Internet già oggi è un media ecumenico, che merita un posto nella dieta mediatica del pianificatore. Parliamo oggi di un potenziale di 33 milioni di famiglie, di 24 milioni di utenti che a settembre si sono collegati a Internet, di profili alti e dal punto di vista della scolarizzazione e dal punto di vista delle professioni”.
Per questo motivo, secondo Binaghi è arrivato il momento di accelerare la corsa, senza dimenticarsi, però di capitalizzare ciò che già c’è.
C’è un presente fatto di 20 milioni di utenti dei social network che ancora non appartiene al mondo pubblicitario, che non sa usare questa audience in modo adeguato rispetto alle potenzialità del mezzo.
C’è un futuro fatto di utenti mobili, destinati tra due anni a superare le connessioni da rete fissa, per il quale mancano ancora strumenti pubblicitari consolidati.
C’è un futuro, di nuovo, fatto di nuovi dispositivi, per i quali sarà fondamentale decodificare informati pubblicitari più adatti.
E chi lo dice che il Web è morto?