Altro che Steve Jobs, noi il visionario l’avevamo in casa e non lo sapevamo. Nel 2003, 13 anni fa, Fabio Fazio va in onda con la prima edizione di Che tempo che fa, elevando la meteorologia a scienza pop con la complicità dello specialista Luca Mercalli. Oggi, a Ibm Business Connect 2016 la meteorologia è scienza per il business.
L’evento che si è svolto in questi giorni a Milano ha avuto come protagonista il tempo, meteorologicamente parlando ma anche come misura della variazione di uno stato, la sua influenza sulla vita quotidiana, e di conseguenza sulle scelte strategiche dei clienti che Ibm ha invitato sul palco, e dei 300 partner in platea.
Ragioniamo astrattamente ma troviamo un’aderenza reale ascoltando Nicolò Mascheroni, vicepresidente di The Weather Company, la società fondata a seguito dell’acquisizione un anno fa di tutti gli asset tranne il canale televisivo di The Weather Channel.
Un’acquisizione che, se molti al tempo non avevano compreso, ora, grazie alle parole del manager risulta chiarissima. I dati e gli algoritmi acquisiti sono la linfa su cui vive il progetto Ibm Watson declinato sull’IoT. E, visti i risultati presentati a Ibm Business Connect 2016, elaborando i dati metereologici di soldi se ne possono fare, eccome.
Ed è evidente, non appena Mascheroni racconta di quanto possa essere utile al marketing di un’azienda che fa detersivi, con un corretto filtro sui Big Data meteo, sapere che quanto le temperature si abbassano si consumano più saponi. D’altronde, se il brand Abercrombie impone di cambiare le vetrine dei propri negozi a seconda del tempo, qualche motivo per considerare le previsioni meteo in un’altra ottica c’è.
Non basta? Ibm ha aiutato a limitare del 52% i risarcimenti assicurativi in caso di danni da grandine, permettendo di ritoccare i premi assicurativi a seconda dei luoghi. Ancora, Mascheroni cita l’esempio di un cinema di Milano che cambia dinamicamente il prezzo del biglietto a seconda del tempo locale.
A Ibm Business Connect 2016 le cifre di Watson IoT
Riducendo ai minimi termini le esposizioni di Carmine Artone, responsabile dei sistemi informativi dell’Utility Hera, di Francesco Meani, amministratore delegato di FullSix, di Marco Signa, Connectivity Strategy and Business Development Senior Manager di Whirpool e di Antonio Vendramini, Electronic R&D Manager di Sit Group, si comprende che, indipendentemente dai mercati e dagli utilizzi, i fattori comuni sono due: i sensori e i Big Data. E se i sensori monitorano l’ambiente e le sue variazioni, azzardando un tantino parliamo di una meteorologia in senso allargato.
Le parole degli intervenuti, insieme a quelle di Deon Newman, capo del marketing di Ibm Watson Internet of Things, ci permettono di elidere il concetto di Smart, City o Industry o qualsiasi altra declinazione, sintetizzando due parametri essenziali, il tempo e i dati appunto, ponendo al centro esclusivamente l’attività dell’uomo, indipendentemente dal contesto, dunque dal mercato.
Ma, attenzione, perché siamo già oltre alla pura implementazione del sensore e alla pura raccolta dei dati. L’era del cognitive computing è molto di più. Ibm punta ad aggiungere intelligenza alle macchine, ai sensori, all’IoT insomma, per ottenere una reazione dinamica alle variazioni dell’ambiente in cui si muovono, e noi con loro. Occorrono macchine che imparino, che si adattino, che creino collegamenti. Ancora, che siano in grado di interagire con l’uomo, che collaborino alla nostra attività, che ci aiutino in tempo reale, insomma, che ci capiscano.
Aggiungere intelligenza alle macchine, non solo ma soprattutto nell’ambito dell’Industry 4.0, insomma, permetterà di elaborare meno dati e più precisi alla fonte, ridimensionando i Big Data in Right Data.
Ibm sta facendo la sua parte: 200 milioni di dollari per la sede Watson IoT di Monaco, uno dei maggiori investimenti per una delle sedi Ibm più grandi in Europa. Che sono una parte dei 3 miliardi di dollari che Big Blue ha intenzione di mettere sul tavolo per integrare il cognitive computing nel Watson IoT. Attualmente sono 6mila i clienti a livello mondiale che utilizzano soluzioni e servizi Watson IoT, 2mila in più rispetto a 8 mesi fa e 1400 sono i partner che lavorano in questo specifico ambito, 750 i brevetti registrati.
Watson IoT ospita i centri di collaborazione IoT cognitivi aperti a clienti e partner in cui un migliaio tra ricercatori, ingegneri, sviluppatori ed esperti di business si mettono a disposizione. E i riconoscimenti arrivano: Idc, a seguito di un giro di tavolo tra 4500 decisori aziendali in 25 paesi nel mondo, ha decretato Ibm come leader nel settore IoT.
La vetrina di Ibm Business Connect 2016 ha dato visibilità a una minima parte dei progetti su cui Ibm Watson sta lavorando ma ha messo in chiaro, ancora una volta, che Big Blue ci ha visto lungo, ora è il momento che i partner facciano propria questa visione.