Ibm, cento anni e sentirli. Vivaddio

Più di una celebrazione: una dimostrazione che il progresso non viene a caso ma dalla continuità.

Ibm quest’anno compie cento anni. Attese le celebrazioni, il cui spirito è ben riassunto da un video, attesi i discorsi attorno a una storia It che non ha uguali.



Compreso quello fatto dall’attuale Ceo, Sam Palmisano, il quale ha qualcosa da insegnare anche in quanto a longevità nel ruolo.
Quando Palmisano parla in pubblico non lo fa a caso e raramente va fuori tema.

In occasione del discorso tenuto un paio di giorni fa agli studenti della John Hopkins University il tema era, appunto, i cento anni di Ibm.
Così spiegati: la longevità di Ibm è figlia della sua capacità di adattarsi ai tempi senza cambiare i propri valori, che vanno condivisi da tutti coloro che la compongono, non solo dalla classe dirigente.

Filosofia? Può darsi. Ma una filosofia che negli anni It ha portato a sfornare nastri magnetici, dischi, chip, mainframe, computer, supercomputer. E quando si è capito che la chiave per aprire la porta dello sviluppo non era di ferro, sotto con database, servizi, Web, software analitico.

Ma sul piatto c’è anche del coraggio, necessario per cambiare la rotta della tecnologia quando i comportamenti sono radicati (il passaggio dall’hardware al software degli anni 90) e per lanciare progetti (SmarterPlanet con il mondo in recessione).

Perché, e questo è il passaggio chiave del discorso di Palmisano, «la tecnologia non è un susseguirsi di gadget, siti web o novità prossime venture. È di più, è il modo in cui il mondo lavora».

Ora Ibm sa che domani avrà davanti un mondo globalmente integrato. Apposta sta formando i suoi manager con il programma Corporate Service Corps, inviandoli nei mercati emergenti a lavorare con le comunità locali e le Ong allo sviluppo economico. Esperienze che restituiscono un sapere da condividere per le prossime tecnologie, che useremo tutti a tutte le latitudini. A dimostrazione di una vitalità intellettuale da startup, ma con la differenza di poter contare su un retroterra che è storia. Di fatto, la nostra.

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