Roi nel giro di pochi mesi con le giuste competenze e best practice. Ne parliamo con Enrico Cereda, fresco Vp della Systems and Technology Group di Ibm.
Da pochi giorni Enrico Cereda è vice President Systems and Technology Group di Ibm al posto di Paolo Degl’Innocenti. In precedenza si è occupato di WebSphere e delle soluzioni di Bpm. Ora prende in mano un business dove le piattaforme tecnologiche devono dettare il ritmo della trasformazione aziendale.
È con lui che iniziamo un giro di opinioni con i fornitori di tecnologia e soluzioni per i datacenter teso a comprendere che ruolo dare a questo asset nell’attuale contesto aziendale.
Per iniziare chiediamo a Cereda quanti sono i datacenter in Italia e quanti Ibm pensa di raggiungerne.
«Oggi l’It è talmente pervasiva – ci dice – che classificare i datacenter in termini numerici è difficile. Comunque sono tantissimi. Noi, per esempio, abbiamo centinaia di clienti italiani che da anni hanno attivato un datacenter degno di questo nome, ossia di assicurare un servizio 24×7. E poi ci sono gli outsourcer, fra noi stessi.
Anche per quanto riguarda il numero di clienti che pensiamo di raggiungere con la nostra offerta non c’è un limite. Basti pensare all’ampia fascia di medie imprese, quelle che hanno una base installata As/400».
Quindi dove c’è un sistema i c’è o ci sarà un datacenter?
Non proprio in rapporto uno-a-uno, ma sono molte le aziende che hanno già aperto il proprio sistema verso l’esterno e quindi hanno fatto un passo concreto verso il concetto di datacenter.
Chi sono i detentori dei datacenter a cui vi rivolgete?
Le piattaforme Power sono indirizzate a tutte le industry. In particolare ne vedo tre molto attive: telco, Pa e banche. Riguardo i soggetti manageriali, c’è sempre il Cio al centro. Ma essendo il tema sempre più una combinazione di aspetti tecnici e di business, assume peso anche il Cfo.
Quali competenze professionali servono adesso nelle aziende che mettono il datacenter al centro della propria strategia di business?
Servono figure che sappiano gestire il tema della virtualizzazione. Si deve parlare di integrazione delle componenti hardware e software, quindi sono figura con competenze cross. Ma contano anche quelle che hanno responsabilità di governance del datacenter.
Come si formano queste competenze?
Con supporto, consulenza e tante best practice. Noi le forniamo con i servizi della Global technology services.
Qual é la tecnologia a cui il responsabile del datacenter deve pensare a investire nel breve periodo?
Quella che fa Roi a breve e che è sempre la virtualizzazione
Esiste, quindi, una misurazione di Roi del datacenter?
Assolutamente. Noi la stiamo già applicando dallo scorso anno. Abbiamo una metodologia che mostra il Roi in pochi mesi incrociando i dati di hardware, software e storage. È cross-industry e contempla anche il tema dell’efficienza energetica.
I datacenter italiani verso che tipo di cloud sono indirizzati?
Da subito verso quello privato, specie nel caso delle grandi aziende. Le medie potrebbero orientarsi verso forme pubbliche.
Il segnale che lo indica qual è?
Che si sta aprendo davvero la fase del Business process management. Vedo molte aziende che stanno rivedendo i processi in digitale, dopo un periodo in cui si è pensato ad automatizzare i processi esistenti. Sarà il momento della riorganizzazione aziendale dettata dal Web e dalle reti sociali.
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