Ibm ridisegna il data center in cinque mosse

L’evoluzione del data center è uno degli elementi centrali per le strategie dello sviluppo innovativo dell’It nelle medio-grandi aziende. Oggi sono molteplici i fenomeni che stanno avvenendo in quest’ambito, come sottolinea Daniele Berardi, vice presid …

L’evoluzione del data center è uno degli elementi centrali per le strategie dello sviluppo innovativo dell’It nelle medio-grandi aziende. Oggi sono molteplici i fenomeni che stanno avvenendo in quest’ambito, come sottolinea Daniele Berardi, vice president Global Technology Service di Ibm Italia: «Da un lato c’è tutta una serie di nuove iniziative e modelli di business che le aziende vogliono introdurre, per supportare la loro crescita sul mercato, che possono trarre vantaggio da una serie di nuove tecnologie che sono disponibili, che però hanno un impatto su come i data center devono essere organizzati, gestititi e strutturati. Dall’altro c’è una forte pressione sull’efficienza in un’ottica anche di riduzione dei costi di gestione. Quindi bisogna capire come questi obiettivi si coniugano in modo strutturato all’interno di un data center, che inevitabilmente deve essere pensato con una nuova concezione e che deve anche fare i conti con i costi degli spazi e dell’energia che è in continuo rialzo».

In primavera Ibm ha fatto un grande studio, intervistando più di 1.000 tra capitani d’industria, amministratori delegati e Ceo, per capire come devono cambiare l’It infrastructure e il data center per essere al servizio dello sviluppo del business aziendale. Tra l’altro, è emerso che ci deve essere una profonda trasformazione dell’It infrastructure, incluso il fatto di riuscire nel tempo a trasformare il cuore dell’infrastruttura, cioè il data center, che deve facilitare l’integrazione delle nuove tecnologie, deve essere capace di evolvere nel tempo, tenendo in considerazione tutti i limiti fisici e di costo di un ambiente esterno che non aiuta.

«Ci troviamo di fronte a un problema/opportunità – ha proseguito Berardi – che ci spinge a passare da un data center che è un insieme di isole di elaborazione in qualche modo tra loro connesse e funzionanti, al modello ideale di un insieme di risorse che sono tra loro integrate e che lavorano in modo efficiente, sicuro e scalabile. Tra le aree che stanno alla base di questa trasformazione troviamo attività di consolidamento e virtualizzazione, di controllo dei costi energetici, business continuity, service e information management. In tutte queste aree, Ibm ha sviluppato un approccio olistico, frutto di un mix di esperienze fatte, anche internamente, di metodologie sviluppate e di acquisizioni di aziende che avevano portato sul mercato degli asset importanti per permettere di accelerare queste trasformazioni, perché la variabile tempo è molto importante. Appoggiandosi anche sui grandi investimenti fatti, che hanno portato all’abbinamento dell’evoluzione tecnologica con una impostazione di attenzione verso il discorso energetico, dal 2006 al 2010 Ibm si propone di raddoppiare la potenza elaborativa a parità di spazio e di consumi. Oggi è a metà del percorso e in linea con il programma».

Questo tema può trasformarsi in un grande inibitore dello sviluppo aziendale se non si affronta in modo corretto, in quanto in breve tempo, se non si ha la capacità di guardare avanti, allerta Ibm, ci si può trovare con spazi insufficienti e con volumi di dati che si moltiplicano a un ritmo incredibile.

Come è cambiata l’offerta

«Ibm non è l’unica società a occuparsi di data center del futuro, ma riteniamo che il nostro valore aggiunto sia quello di poter offrire alle aziende una visione metodologica, strategica e tecnologica a 360 gradi» ha osservato Fabrizio Renzi, System & Technology Group di Ibm Italia.

Nel disegno della società, l’enterprise data center è composta da cinque grosse aree: Consolidation and virtualization, Energy efficiency, Business resilience and security, Service management e Information infrastructure. Di ognuna approfondiamo con i responsabili le caratteristiche.

«La virtualizzazione è stata inventata nel 1960 e riscoperta in questo periodo – ha esordito Massimo Leoni System & Technology Group di Ibm Italia -. Che cosa possiamo fare con la virtualizzazione? Tendenzialmente due cose: virtualizzando, si riesce a consolidare tante macchine all’interno di un unico contenitore fisico o a spostare i carichi di lavoro su alcune, per spegnere quelle che non si utilizzano. Un secondo aspetto è quello di avere una grossa applicazione e poterla spezzettare in tanti pezzi più piccoli, e questo è un po’ il concetto di clustering. Per cui la virtualizzazione è uno degli aspetti più importanti in un data center perché ci mette in condizione di fare cose nuove. Stanno arrivando le tecnologie che ci consentono di esplorare questo spazio, per cui possiamo non solo virtualizzare la parte architetturale della macchina, ma spostarci a un livello superiore e quindi creare degli agglomerati di servizi integrati che possono essere utilizzati sulle macchine fisiche per creare un servizio».

Le offerte di Ibm in quest’area sono tantissime e vanno dall’opportunità di consolidamento/ottimizzazione, rimozione dei vincoli fisici alla crescita e affidabilità. Il supporto che può dare la società è quello di aiutare il cliente a capire bene che cosa possono offrire le varie soluzioni presenti sul mercato per poi inserirle nel data center e quindi raggiungere gli obiettivi prefissati.

Ottimizzare i costi energetici

Il fronte dell’efficienza dell’energia è un altro tema molto sentito oggi all’interno del data center «per cui va valutato sotto due aspetti – ha spiegato Giovanni Boniardi, Global Technolgy Services di Ibm Italia -. Quello dei costi energetici, che sono sempre più elevati, per cui c’è chi consiglia di costruire i data center in Islanda o chi, come Google, pensa di metterli su una nave che veleggia ancora più a nord, per risparmiare sul raffreddamento dei sistemi. Ma c’è anche l’aspetto della salute del pianeta e quindi della “corporate social responsability”, che dal punto di vista informatico dà al Cio un argomento in più su cui far leva presso il top management e gli azionisti. Quindi, bisognerà tener conto dei diversi protocolli e vincoli normativi che coinvolgono le aziende. Diverse sono le tematiche che ruotano attorno al green It, dove Ibm ha annunciato un approccio a 360 gradi, ma oggi ci focalizziamo sugli aspetti specifici dell’efficientamento energetico del data center. Una delle prime osservazioni che vengono sollevate è che non è sufficiente utilizzare dei sistemi It energeticamente efficienti, in quanto è necessario individuare anche una collocazione giusta che consenta un’efficace gestione dei flussi d’aria e di refrigerazione, perché fa risparmiare sul consumo di energia».

Il problema di fondo è che i data center costruiti qualche anno fa non sono più in grado di gestire l’evoluzione tecnologica di oggi, come per esempio i sistemi ad alta densità. Quindi, il consiglio di Boniardi è di muoversi verso isole di risorse pienamente virtualizzate, che sono svincolate dai limiti fisici dell’hardware. Un altro tema importante è capire come l’energia viene utilizzata all’interno del proprio data center: il primo elemento che spesso provoca sorpresa è scoprire che, fatto 100 il consumo di energia di un data center, il 55% va a finire in energia e raffreddamento: le facility e le infrastrutture, quindi, hanno un grosso peso, per cui vanno efficientate. Una seconda analisi dell’energia residua all’interno dei sistemi si divide tra la componente elaborativa, le Cpu, che consumano un 30%, mentre la restante parte è data da energia utilizzata in alimentatori, memoria, dischi, ventole e via dicendo. Rispetto a un hardware che costa sempre meno, alla fine l’aumento è dovuto alla gestione operativa e al mantenimento energetico.

«Ibm – ha sottolinato Boniardi – agisce su tutta la filiera del Watt, cioè sui semiconduttori, sui sistemi e sui data center. Oggi, tuttavia, è anche necessario gettare un ponte tra il mondo delle facility e quello dell’It, in modo da uniformare i punti di vista per realizzare un unico approccio progettuale per il data center, per monitorare qual è il consumo energetico complessivo, per prendere coscienza sugli interventi da fare. Per quanto riguarda Ibm, offriamo dei servizi legati all’individuazione dei livelli di efficienza delle facility, quanto consumano, perché e secondo quali rapporti di grandezza. In base a questa analisi, vengono proposti alcuni interventi, in base alle priorità, con calcolo del Roi. Si va, dunque, dal raffreddamento ad hoc del singolo processore per arrivare al rack ad alta densità. Ibm, inoltre, sta lavorando per realizzare semiconduttori che fra tre/quattro anni consentiranno risparmi energetici del 30/40% rispetto a quelli attuali. Un’esigenza che si manifesta sempre più da parte degli utenti è di avere uno strumento che permetta di osservare, controllare e interagire su questo fronte, per cui le nostre soluzioni partono da uno strato software, l’Active Energy Manager, che è in grado di raccogliere il livello di consumo energetico e di temperatura delle macchine di un data center, e questi dati poi possono essere archiviati e usati per fare capacity planning».

Per quanto riguarda la resiliency, supportare il business secondo resiliency, nel senso più completo del termine, «vuol dire la capacità di rispondere sia a eventi esterni, che di solito sono distruttivi e possono danneggiare l’It, ma anche a opportunità di business come merger and acquisition piuttosto che aperture di nuovi business – ha chiarito Boniardi -. Le cinque tematiche fondamentali della resiliency sono: capire e pianificare quali sono i possibili impatti e i rischi sul business per valutare quanto disservizio si può sopportare; rispondere alle normative della compliance associate alla business resilience; assicurare che i dati siano protetti, disponibili e accessibili; perseguire obiettivi di disponibilità e alta affidabilità; saper far fronte ai piani di recovery ed eventi distruttivi. Anche in quest’area l’offerta di Ibm è molto articolata».

Il valore della sicurezza

Il data center rappresenta il motore dell’azienda e quindi in quanto tale va protetto nella sua totalità, per cui è importante che le aziende valutino le mosse da fare, in quanto le misure di sicurezza devono essere di tipo preventivo. «Nell’ambito della business resiliency abbiamo due valenze – ha a sua volta osservato Mariangela Fagnani, Global Technology Services di Ibm Italia -. Da un lato le misure di sicurezza che cercano di prevenire i rischi, dall’altro tutte le misure di tipo reattivo nel caso le prime non siano state sufficienti. Business continuity e sicurezza sono due elementi che devono viaggiare su due binari paralleli ma strettamente correlati tra loro. Le aziende sono sempre più aperte al mondo, per necessità di business ma sono anche sempre più esposte. Per cui bisogna proteggere il dato e tutte le infrastrutture che gli ruotano attorno e quindi il data center. Un altro tema portante è la conformità con le normative legate alle leggi, che sono specifiche ai diversi settori di attività. Da parte del Governo italiano c’è stata la ratifica del trattato di Budapest, che tratta la criminalità informatica, per cui abbiamo oggi un nuovo regolamento da tenere in considerazione che si aggiunge alle responsabilità dei manager. È, quindi, importante che chi si occupa di sicurezza parli con chi si occupa di business: se questo cresce e l’attività diventa sempre più complessa e articolata, deve crescere anche la sicurezza. Ma per poterla governare servono strumenti di controllo e di governance. Innanzitutto va garantita la conformità con le normative, ma non solo, va garantita la compliance anche con quelle che sono le policy interne dell’azienda. L’altro tema importante è la gestione del rischio, per cui per poter garantire la protezione dei dati in un ambiente dinamico, bisogna adottare un approccio basato sulla valutazione e gestione del rischio. Serve, quindi, un processo di risk management che sia parte del processo di governance dell’azienda stessa. Un terzo elemento fondamentale è quello di garantire la protezione delle infrastrutture: qui parliamo di tutti gli asset che servono per fare business, di processi, di organizzazione e di persone. Tutti questi componenti devono essere adeguatamente protetti, e quindi devono lavorare in modo coerente e convergente nei confronti del business».

In un contesto di questo tipo non è possibile pensare di affrontare le problematiche di sicurezza per silos, ma è necessario operare in modo convergente rispetto agli obiettivi aziendali, e quindi Ibm ha sviluppato un modello di riferimento che è Information Security Framework, che di fatto racchiude tutte le aree della sicurezza, che anch’essa viene affrontata a 360 gradi, partendo dagli aspetti di protezione fisica degli asset, delle persone che devono essere protette ma che devono anche avere la cultura e la sensibilità per proteggere gli asset. C’è, poi, l’area che concerne la protezione dagli attacchi esterni delle reti, server e dati, tutta l’area della confezione dei dati e delle transazioni, nonché la sicurezza delle applicazioni e la regolamentazione di tutti gli accessi coerenti con le necessità del business, compresi quelli di tipo fisico (ad esempio la videosorveglianza). Come elemento di convergenza serve un sistema integrato di governance, che può governare tutti i sistemi di sicurezza. Questo modello si ispira alle best practice di Ibm a livello mondiale e alla ricerca affiadata a 3.500 specialisti. Ibm può aiutare con la propria offerta intergrata a colmare tutte le fasi di quello che è il classico ciclo di vita della sicureazza, per cui ha prodotti, servizi gestiti e professionali di consulenti specialistici, che servono a fare assessment, a valutare quali sono i rischi, a indirizzare le misure da prendere e i piani strategici da avviare per proteggere gli asset critici dell’azienda, per difenderla dalle minacce esterne ed interne, per monitorare e controllare che le mosse fatte siano coerenti con quanto è stato stabilito.

Information infrastructure

Uno dei pilastri architetturali dell’Enterprise data center è l’information infrastructure. Negli ultimi anni i dati sono esplosi in azienda, per cui è importante capire come vanno gestiti secondo una logica di efficienza operativa ma anche secondo costi ragionevoli. «Nel 2007 – ha specificato Boniardi – sono stati prodotti 161 exabyte di dati, pari a una crescita del 54%, dati che spesso non sono strutturati ma che stanno diventando sempre più estesi rispetto a quelli strutturati. Di nuovo il problema è il governo di questa mole di informazioni. Partendo da queste problematiche, abbiamo articolato un’offering divisa in quattro aree chiave: information security, information availability, information retention e compliance. Quindi per ogni azienda bisogna individuare quali sono le esigenze di conservazione efficiente dei dati per il proprio business, per l’auditing interno ed esterno. Sotto i quattro capisaldi su cui abbiamo articolato la nostra Information infrastructure, si mappa su una serie di pattern architetturali sotto ai quali c’è la nostra offerta di prodotti, tecnologie e servizi. Le tematiche contemplano Storage virtualization, Data migration e mobility tool, Storage tiering & Ilm, Data compression e deduplication, Policy enforcement & reporting analysis, e Access control, encription, identity management, dove abbiamo fatto annunci estremamente importanti».

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