Il cammino accidentato di Basilea 2

I dettami della normativa europea dei crediti bancari impongono nuove sfide agli istituti di credito, che devono affrontare in modo integrato e sistemico tutti i possibili rischi connessi alla propria attività

La riforma della disciplina europea dei crediti bancari, avviata nel 1998 con una prima bozza siglata a Basilea, ha trovato nell’accordo denominato Basilea 2 (pubblicata nel giugno 2004) il tentativo di pervenire a una normativa integrata. L’obiettivo fondamentale che si pone la legge, che sarà applicata concretamente a partire dal prossimo anno, è di ridurre il rischio nel settore finanziario. Lo scopo ultimo di tutti gli adempimenti che la banca deve porre in essere per l’erogazione di un prestito è garantire un’adeguata capitalizzazione rispetto ai rischi che corre ("rischio di credito"). In altre parole, più il prestito è incerto, maggiore è la possibile perdita che la banca può subire. Il costo per la banca deriva, quindi, in parte dagli strumenti finanziari di cui deve dotarsi per valutare questa esposizione e in parte dalla quantità di capitale che occorre accantonare a garanzia di ciascun prestito. Già nel 1988, infatti, è stato stabilito l’obbligo per ciascun istituto di accantonare, in un fondo di garanzia, l’8% degli impieghi ponderati per il rischio. Questo capitale indisponibile costituisce un costo per l’istituto, che viene recuperato riportandolo sul tasso di interesse applicato all’operazione di finanziamento. La novità introdotta da Basilea 2 riguarda l’obbligo di presidiare, in modo organico, anche gli altri due componenti di rischiosità, ovvero il rischio operativo (derivante dall’esposizione della banca a truffe o perdita accidentale dei dati), e quello di mercato (ovvero l’eventualità che il valore degli strumenti in portafoglio si riduca a causa di variazioni delle condizioni di mercato, dei tassi di interesse o di cambio).

I tre pilastri


Le norme concordate a Basilea poggiano su tre principi fondamentali. Anzitutto, la definizione di "requisiti minimi di capitale" che, in presenza delle tipologie di rischio identificate, la banca deve rispettare, in termini di livelli minimi di capitale, coerenza tra capitale e rischi assunti o individuazione di nuove categorie di rischi. In seconda battuta, il "controllo prudenziale" ovvero la possibilità, concessa agli organi nazionali di vigilanza (nel caso italiano, la Banca d’Italia), di verificare la situazione del rischio associato all’attività di ciascun istituto, eventualmente imponendo alle banche in questione di stanziare fondi di capitale più "cospicui" per cautelarsi. Il terzo principio è, poi, la "disciplina del mercato e della concorrenza", che consiste nell’obbligo di fornire informazioni dettagliate in merito a tutte le tipologie di rischio identificate, per consentire agli operatori addetti alla vigilanza di valutare la posizione di rischio complessivo. Le banche dovranno, quindi, obbligatoriamente riorganizzare i database relativi ai crediti e attivare flussi informativi periodici nei confronti delle autorità di vigilanza.

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