Una ricerca esclusiva per scoprire come il trade informatico percepisce l’utilità della formazione
Un po’ per rassegnazione, un po’ perché è ormai divenuta chiara a tutti la sua utilità, la formazione sta cominciando a essere considerata anche dagli operatori di informatica. Probabilmente a causa dell’evoluzione di queste figure, sempre più organizzate in aziende che devono stare al passo con il mercato e le sue esigenze, e non più piccole imprese, magari di stampo familiare, i rivenditori di informatica si aggiornano, frequentano corsi di formazione, cercano di stare al passo con i cambiamenti della tecnologia che, si sa, quando si parla di Ict, corre a velocità sparata. L’Ufficio Studi di Computer Dealer & Var e di Reseller Weekly Web ha voluto fare un quadro della situazione e vedere quale opinione hanno i rivenditori italiani rispetto la formazione. In collaborazione con la società di ricerche Demoskopea, abbiamo effettuato un’indagine su 100 operatori nazionali, tra Var e dealer, che si sono mostrati, complessivamente, attenti a questo tema. Lo conferma il fatto che solo il 7% degli interpellati considera superflua la formazione, mentre la maggior parte (54%) la considera indispensabile, e un 38%, meno entusiasta ma rassegnato, ammette che è di grande aiuto per i rivenditori. Curioso è il fatto che anche tra chi non frequenta corsi, è alta la percentuale di chi è persuaso dell’utilità della formazione (circa l’80% di chi non frequenta). Si presume che le aule di chi fa training mirato per l’informatica siano spesso ben affollate, visto che il 70% delle aziende intervistate ha, al momento, almeno un dipendente impegnato ad aggiornarsi, con il Sud Italia percentualmente più presente del Nord (il 76% contro il 67%). Un altro dato che conferma la voglia di imparare è la frequenza di partecipazione: il 31% degli intervistati segue più di due corsi all’anno, e il 44% almeno uno ogni anno. Molto apprezzati sembrano essere i corsi organizzati direttamente dai vendor, la cui validità è confermata dal 45% del campione intervistato, a probabile riprova che le nozioni tecniche sui prodotti vengono considerate in primo piano. Una preferenza, questa, che si manifesta principalmente tra gli operatori più grandi, mentre i rivenditori più piccoli tendono ad affidarsi all’istruzione fornita dal distributore. Il costo per la formazione non sembra essere un elemento di gran peso. Le terze parti partecipano indistintamente sia a corsi gratuiti, sia a quelli a pagamento, con una decisa preferenza per quelli a carattere tecnico, ma con un crescente interesse anche per quelli commerciali.
Certo che quando le cose vengono imposte, possono a volte essere mal digerite. Almeno così pensavamo fosse anche nel caso delle certificazioni obbligatorie richieste da molti vendor per la vendita dei loro prodotti. I dati raccolti, in parte ci smentiscono: a parte l’11%, che preferisce dedicarsi alla vendita di prodotti semplici che non richiedono particolari skill, il 38% ritiene che la qualificazione sia indispensabile per vendere correttamente alcuni prodotti, e riuscire a identificare il giusto target di clientela a cui proporli (i più convinti sono gli operatori del Sud Italia). Il che si traduce in nuovi utenti da poter contattare, con conseguente allargamento del business (27,5%), o nella possibilità di mostrare un attestato di qualifica che li valorizza sul mercato (24%). Il 17% si lamenta, invece, che la formazione dei dipendenti sia solo “di corredo” al prodotto, e che rappresenti un impegno oneroso da mantenere.
E il dealer scopre il fascino del “bollino”. Le aziende del trade, con oltre 10 persone certificate, rappresentano il 16% del totale, mentre quelle che hanno da 3 a 5 persone sono il 22% e quelle con una-due persone il 26%. Ancora molte, comunque, non dispongono di personale qualificato (27%), e stupirà il fatto che i più sforniti risultano essere le società con fatturato più alto. Il prezzo, dicevamo poco sopra, non rappresenta una discriminante, e da qui si può comprendere la fortuna delle società che si sono specializzate in tale ambito. Il 28% del campione intervistato spende mediamente in un anno oltre 10 milioni di lire per la formazione, il 14% sta tra i sette e i 10 milioni, mentre per un altro 14% l’investimento medio è tra uno e cinque milioni. E non si creda che a spendere di più siano i più grandi: le percentuali non si discostano di molto tra le diverse categorie. La maggior parte del personale che solitamente sta dietro i banchi nelle aule di training è di tipo tecnico (86%), ma anche la forza commerciale sta cominciando a comprendere l’utilità di essere aggiornati sui prodotti che devono vendere (67%), e così pure i titolari (62%), che ancora spesso coincidono con altre figure aziendali, soprattutto nelle piccole realtà.
Ma se erogare corsi fa girare denaro, perché non buttarsi in prima persona? Non è detto che il canale informatico italiano non ci stia pensando, mancano solo le risorse necessarie, visto che il target cui proporre i propri corsi già l’avrebbe in mente: la maggior parte, il 58%, si dedicherebbe alle aziende, il 34% farebbe volentieri scuola ai professionisti, mentre il 16% punterebbe sull’utenza finale.