Marco Mastretta, direttore di ICS, illustra le potenzialità di un fenomeno in crescita grazie al diffondersi delle politiche di mobilità sostenibile
Il prezzo della benzina non smette di correre, e la diffusa sensibilità ambientalista spinge per città e centri storici liberi dal traffico delle auto private. Per questi e altri motivi, il car sharing, un fenomeno sino a poco tempo fa molto di nicchia, sta vivendo da alcuni anni una stagione di crescita confortante. Il servizio, che permette agli utenti abbonati di utilizzare un’automobile su prenotazione, è un’opzione che sembra sposare in pieno i principi tanto in voga della mobilità sostenibile. Tanto da poter rappresentare, già oggi, un’interessante possibilità di investimento anche per aziende e finanziarie estranee all’ambito dell’ecologia. B2B24.it ne ha parlato con Marco Mastretta (nella foto), direttore di ICS (Iniziativa Car Sharing), struttura di coordinamento delle realtà locali del car sharing.
Quali sono le dimensioni del fenomeno car Sharing in Italia e nel mondo?
A livello italiano il car sharing, per quanto riguarda il circuito ICS, conta circa 12.000 utenti, distribuiti tra circa 400 auto. Il servizio è attivo in 9 città (Torino, Milano, Genova, Parma, Bologna, Rimini, Venezia, Modena e Roma), mentre a breve dovrebbe essere operativo a Palermo, Brescia, Padova e, probabilmente, Savona. Siamo presenti, insomma, soprattutto al Nord, anche se stiamo studiando la possibilità di espanderci anche al Sud, in particolare a Napoli e Bari. A questi 12.000 utenti se ne devono aggiungere altri 500 utenti di un gestore che non aderisce al sistema Ics, attivo solo a Milano. Da segnalare che, oltre che nelle aree metropolitane, c’è una crescente attenzione da parte dei centri minori: il servizio è attivo anche nelle province di Milano, Bologna, Torino. Le dimensioni del Car sharing in Italia, comunque, sono ancora molto ridotte rispetto alle realtà di altri paesi europei, dove il servizio è partito alla fine degli anni Settanta: in Svizzera e Germania, infatti, siamo ormai vicini al tasso fisiologico di utilizzo, mentre attualmente si assiste a uno sviluppo importante in Asia (Malesia, Giappone) e in Nord America, dove i tassi di incremento sono molto superiori alla media europea. A livello mondiale un censimento esatto è difficile da farsi, ma siamo tra i 350.000 e i 400.000 utenti.
A che tipo di pubblico si rivolge il car sharing?
Storicamente il servizio si è rivolto a un pubblico con una forte coscienza ambientalista o, comunque, con un livello culturale abbastanza elevato, e con una grande attenzione ai temi della mobilità. Oggi, invece, possiamo parlare del car sharing come di un servizio di tipo industriale, che è utilizzato dalla maggior parte dell’utenza per fattori molto pratici, come la convenienza economica, la praticità d’uso, la rispondenza ad esigenze di tipo particolare. Insomma, il pubblico è ormai abbastanza diversificato, anche se il core business rimane sempre l’utente privato con un buon livello di reddito, ma stiamo ultimamente notando l’utilizzo del car sharing da parte di fasce sociali non abbienti, come succedaneo al possesso dell’automobile. Il nostro cliente, ovviamente, usa l’auto non per motivi di spostamento sistematico, ma bensì occasionale, ovvero per meno di 10.000 km l’anno. Attualmente, inoltre, una buona parte del nostro mercato è costituita dall’utenza business: si tratta in genere di professionisti che hanno necessità di recarsi in centro per motivi di lavoro, ma anche di grandi imprese che usano il car sharing per integrare la propria flotta automobili nei momenti di punta.
L’impatto ambientale del Car sharing è stato quantificato?
L’impatto è stato analizzato da diversi studi: i benefici sono di tre tipi. Il primo è legato alla diminuzione dello spazio utilizzato, perché ovviamente chi aderisce al car sharing in gran parte vende l’auto o non ne compra una nuova, e questo si traduce in meno spazio utilizzato. Abbiamo appurato che le nostre 400 auto significano almeno 4.000 vetture in meno in circolazione. Se moltiplichiamo questo numero per i 4 metri di spazio che mediamente occupa ogni macchina, siamo già a circa 16 chilometri di carreggiate delle nostre città liberate grazie al consorzio ICS. Un altro elemento positivo è rappresentato dal risparmio di chilometraggio: l’utente del car sharing, in media, fa una quantità di chilometri variabile, a seconda degli studi, tra il meno 15% e il meno 35%. Le nostre macchine, inoltre, sono molto più nuove della media del parco auto circolante nel nostro paese, fattore che consente un’ulteriore diminuzione delle emisioni di co2. Il terzo elemento è di tipo culturale, perché il car sharing abitua a una scelta di mobilità più cosciente e, allo stesso tempo, più razionale.
Su che tipo di tecnologie si basa il car sharing italiano?
Le tecnologie sono più o meno uguali in tutti i paesi. In Italia abbiamo in dotazione un sistema particolarmente avanzato, entrato in funzione lo scorso anno: il metodo di accesso alla vettura è una semplice smart card, che serve a rendere disponibile la vettura. Ogni auto è equipaggiata con un computer di bordo touch screen collegato in Gprs al centro di gestione. Prenotazioni, cancellazioni e molte altre operazioni possono essere effettuate inoltre sia via web che tramite call center.
Che tipo di funzioni svolge l’ICS?
ICS è una convenzione di comuni, ed è il firmatario dell’accordo di programma con il Ministero dell’Ambiente che ha finanziato lo sviluppo del car sharing. Noi perciò, innanzitutto, gestiamo i fondi, selezionando le domande di finanziamento degli attori. Una volta approvate le richieste, le imprese vengono rimborsate e, secondo alcune nostre valutazioni, riusciamo a finanziare tra il 25% e il 30% dei costi d’esercizio dei primi 3 anni di vita dell’impresa. Ma il vero ruolo importante di ICS è quello di definire gli standard che devono essere adottati da tutti i gestori, e programmare le politiche di sviluppo comuni dell’intero circuito, come la pianificazione dello sviluppo tecnologico, le campagne di comunicazione, ecc.
A proposito di gestori. Il numero troppo alto di operatori presenti in Italia (ben 9) può rappresentare un freno allo sviluppo del settore?
Il numero degli operatori presenti in Italia rappresenta senz’altro un problema. Il car sharing, così come l’intero settore dei trasporti, presenta dei margini unitari molto limitati, e un’impresa, per ottenere un certo rendimento, deve prima effettuare investimenti abbastanza importanti. Nella situazione attuale, con un gestore diverso per ciascuna città, è senz’altro più difficile sia raggiungere il punto di break-even che realizzare delle economie di scala. Aggiungo inoltre che, se i gestori fossero in grado di presentare in un solo bilancio l’intero volume d’affari che ha registrato il car sharing lo scorso anno (circa 6 milioni di euro), potrebbe essere molto più facile attirare eventuali investitori. Ultimamente è stato lanciato un Consorzio tra i diversi gestori, che spero possa presto diventare un qualcosa di più di un semplice Consorzio di acquisto e di razionalizzazione degli approvvigionamenti.
Perché gli operatori finanziari dovrebbero investire nel car sharing?
Perché è redditizio. Non mi aspetto che le finanziarie dei fondi d’investimento se ne occupino, ma se si pensa che in questi anni grandi compagnie hanno investito nel trasporto pubblico locale, una cosa simile potrebbe accadere anche nel car sharing. D’altronde si parla di un settore che può garantire risultato netto del 5%, e dunque un ritorno sugli investimenti importante. Se, come prevediamo, riusciremo a raggiungere i 120.000 utenti nell’arco dei prossimi 6-7 anni, il car sharing potrebbe arrivare a un giro d’affari di 40-50 milioni di euro, il che vorrebbe dire circa 2.500.000 di utili. Una cifra che, se ci fosse una concentrazione dei gestori, potrebbe diventare davvero interessante per i potenziali investitori.
A Milano è stato recentemente lanciato l’Ecopass (accesso a pagamento in centro per le auto inquinanti), e anche altre metropoli in futuro potrebbero lanciare simili iniziative. Pensa che questo possa favorire la diffusione del Car sharing?
Potrebbe essere. Sicuramente tutti i fenomeni che tendono a regolamentare e a disincentivare in qualche modo l’utilizzo dell’auto privata portano a una maggiore attenzione verso forme flessibili di trasporto pubblico, ed il car sharing lo è senz’altro.
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