Il caso di Sia, social responsability con “codice alla mano”

Intervista a: Renzo Vanetti, amministratore delegato di Sia (Società Interbancaria per l’Automazione)

Con l’Ad di Sia, Renzo Vanetti, abbiamo affrontato il senso della responsabilità sociale di quella realtà italiana che, per natura, forse meglio incarna il crocevia delle esperienze fra tecnologia e finanza, ovvero dove bit e soldi si incontrano per produrre positività per la società, globalmente intesa.

Da cosa deriva la scelta di essere "socialmente utili"?


"Il business di Sia nasce con la consapevolezza di svolgere un compito funzionale all’efficienza del sistema finanziario italiano e dunque del Sistema Paese. Sia è stata, infatti, fondata da Banca d’Italia, Abi e da alcuni fra i maggiori istituti di credito per essere il braccio tecnologico di un grande disegno di rinnovamento del sistema bancario italiano: realizzare la rete nazionale interbancaria capace di collegare per via telematica tutti gli operatori del settore finanziario. Fin dall’inizio abbiamo compreso che guidare una rete telematica ha una funzione sociale importantissima: significa stare al centro di una sequenza di relazioni etiche tra l’azienda e i propri stakeholder, tra il sistema finanziario e i suoi fruitori, operatori e cittadini. Attraverso un uso consapevole delle tecnologie di rete è dunque possibile contribuire al raggiungimento di obiettivi positivi per la comunità. Abbiamo continuato a considerare la nostra attività con questa prospettiva: fare bene impresa ha assunto un valore altissimo per noi. Sia si è dotata di un codice etico che costituisce la dichiarazione pubblica degli impegni e delle responsabilità etiche a cui l’azienda si ispira e in cui sancisce il principio della responsabilità verso la collettività".

Sia ha dei parametri per valutare l’efficacia delle proprie attività di Csr? Si può quantificare l’investimento, sia in termini finanziari che in termini di numero di progetti?


"Non abbiamo sposato la strada della rendicontazione sociale, poiché è ancora molto difficile individuare parametri oggettivi per la valutazione dei nostri progetti sociali. Siamo coscienti che il processo di rendicontazione sociale si configura come occasione interna per riflettere in modo sistematico sulla propria identità e il proprio operato e per rafforzare le relazioni con i propri interlocutori. Sentiamo, infatti, che il sistema di valori che abbiamo sposato debba innanzitutto essere compreso e condiviso internamente, a tutti i livelli dell’organizzazione. Per questo, in ultima analisi, è fondamentale l’esempio dell’alta direzione e dei manager dell’azienda. Come pure è necessario potenziare gli strumenti di dialogo e comunicazione interna e fornire gli esempi di applicazione concreta dei principi dichiarati. Proprio con questo obiettivo è nata l’idea del ciclo di incontri "Eticamente" (il prossimo, si terrà a Milano il 9 giugno – ndr.), che affrontano il tema dell’etica nei suoi molteplici aspetti: affari e cultura, solidarietà e managerialità, cultura ed espressione, umanità e quotidianità, perché siamo convinti che, per tutte le imprese non può esserci progresso senza ancoraggio etico. Per quanto riguarda, invece, la quantificazione dei progetti di Csr che Sia sviluppa, ecco alcuni numeri che si riferiscono agli ultimi tre anni: 20 associazioni sostenute, a vario titolo (con cadenza annuale) da Sia o da una delle società del Gruppo Sia; 4 partnership con altrettante Onlus internazionali per l’identificazione e la realizzazione di progetti di elevato impatto sociale; 351.000 euro il budget triennale, destinato alle erogazioni liberali".


Qual è stato il progetto di punta, quello che, ottemperando al vostro senso di Csr, rispecchia di più Sia?


"La scelta di adottare una politica di responsabilità sociale ha rafforzato i nostri già frequenti rapporti con il Terzo settore. In particolare, l’esperienza pluriennale di collaborazione fra Sia e Avsi (Associazione Volontari per il Servizio Internazionale) è indicativa, come dimostrano i due progetti sviluppati insieme in Uganda e in Romania. In Uganda Avsi ha realizzato il Sistema informativo e la gestione della banca dati nei servizi sanitari di 46 ospedali missionari, grazie alla fornitura del supporto tecnologico-informatico da parte di Sia. In Romania, invece, è stata creata una rete virtuale che collega le sedi italiane di Avsi, di Milano e Cesena, con la sede rumena. Grazie allo Share Point Portal Server, installato e gestito da Sia su uno dei server donati, è possibile mettere in comune i documenti di Avsi, il materiale per la formazione degli operatori socio-sanitari e la documentazione dei progetti. È evidente il vantaggio che porta con sé questo tipo di collaborazione: da un lato l’associazione ha beneficiato del supporto tecnologico di Sia e dell’organizzazione propria dell’azienda; dall’altro Sia ha acquisito valore in alcuni asset intangibili".

Esiste in Italia il "digital divide"? A che punto siamo relativamente alle disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie della "società dell’informazione"?


"Quando si parla di digital divide, spesso si pensa alle aree più emarginate del pianeta, non raggiunte dalla tecnologia per ragioni legate alla povertà e alla scarsa attenzione nei confronti delle potenzialità in ambito sociale. Non si pensa, invece, al digital divide presente in aree tecnologicamente alfabetizzate, come l’Italia. Nel nostro Paese, infatti, si sta registrando una maggiore attenzione nei confronti delle categorie più deboli, che spesso hanno difficoltà nell’accedere a servizi e informazioni essenziali erroneamente considerate "disponibili per tutti" sulla rete Internet. C’è dunque un ambito in particolare in cui il digital divide ancora si manifesta: quello dell’accessibilità dei siti Web. Oltre tre milioni di disabili italiani trovano ancora barriere nell’accedere ai servizi e alle informazioni dei siti Internet, risultando così penalizzati. Da questo punto di vista anche la legislazione italiana sta cominciando a muoversi, come dimostra la Legge Stanca per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici. E uno dei compiti dei fornitori It è anche quello di contribuire a mantenere alti gli standard di accessibilità. In Sia abbiamo creato un team che segue direttamente queste tematiche, formato da professionisti che da anni si occupano dell’usabilità e accessibilità dei siti Web: struttura che è diventata un centro di competenza nell’ambito dell’azienda".

La filantropia è per definizione giusta: ma come sappiamo che le scelte aziendali in tema di Csr sono giuste?


"Recentemente, sulle pagine dell’Economist, Clive Cook sosteneva che i manager che fanno beneficenza sottraggono utili all’azienda e agli azionisti che li hanno delegati a fare il loro interesse e liquidava la Csr definendola "filantropia presa a prestito". Penso, invece, che accettando la sfida etica, le imprese trovano nel mondo della solidarietà il partner per agire come soggetto attivo nella costruzione di una più forte coesione sociale; mentre a sua volta il Terzo Settore trova nell’impresa stimoli e strumenti per una gestione più efficiente. Dall’incontro fra profit e noprofit possono nascere opportunità di sviluppo per il sistema socio economico del nostro Paese e mondiale".

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