Un business ancora “nella culla” che non solo viene ostacolato pesantemente, come è ovvio immaginare, dai big vendor, ma che potrebbe essere messo in crisi anche dai modelli “as-a-service”.
A poco più di tre mesi alla decisione della Corte di Giustizia Europea, che di fatto bloccava il ricorso di Oracle contro la tedesca UsedSoft, intenzionata a rivendere licenze software di seonda mano, sembra essere in piena fioritura il mercato del software usato.
Accantonate le preoccupazioni legali, la materia risulta di fatto ben regolamentata, sono gli stessi CIO a valutare l’ipotesi di ricorrere a broker specializzati per acquistare software per la loro impresa, con l’obiettivo di ridurre sensibilmente la spesa.
Stiamo parlando di un mercato ancora piccolo, che in Germania, una delle regioni che maggiormente fa ricorso a questa modalità di acquisto, ancora vale all’incirca 100 milioni di dollari.
Tuttavia, secondo la stessa UsedSoft, protagonista della sentenza della Corte di Giustizia, che lo scorso anno ha chiuso con un fatturato di 5 milioni di euro, la domanda, negli ultimi tre mesi, risulta di fatto triplicata. Ed è chiaro che proprio l’effetto dell’esito di quel processo funge oggi da detonatore per un mercato potenzialmente esplosivo.
Anche perché, alla sentenza della Corte di Giustizia Europea, se ne è aggiunta un’altra, poche settimane fa, emessa da un tribunale di Amburgo, che ha di fatto proibito a Microsoft di mettere in atto azioni di intimidazione nei confronti delle aziende clienti, obbligandole, di fatto, a ricevere il suo benestare per l’acquisto di software usato.
Un secondo via libera, di fatto, che diventa un conseguente benestare a realtà come Bayer, giusto per citare un nome di particolare risonanza, che già hanno intrapreso la strada delle applicazioni di seconda mano.
Diversamente a quanto accade, ad esempio, per la rivendita di videogiochi usati, la vendita di software usato è più complessa.
Le aziende contattano un broker indicando quale software cercano e quante licenze hanno bisogno. Similmente fanno le aziende che intendono cedere il loro. Compito del broker è mettere in contatto domanda e offerta e quotare i prodotti in vendita, in media tra il 30 e il 70% al di sotto del prezzo originario. Prima che la cessione divenga effettiva, è necessario che il venditore certifichi con un atto notarile che il software è stato cancellato e completamente rimosso dai propri computer.
La vendita del software usato rappresenta, dunque, un’opportunità di risparmio per quelle realtà che non necessitano per forza delle ultime versioni dei software e, nel contempo, offrono ai venditori la chance di monetizzare qualcosa che altrimenti verrebbe semplicemente eliminato.
AI produttori software, appare evidente, la prospettiva piace poco.
Non piace a Microsoft né ad Adobe, i cui Office, Windows e Photshop risultano tra i programmi maggiormente venduti su mercato dell’usato e che non trovano in Europa un appiglio legale analogo a quello statunitense, dove la rivendita può essere vietata nel contratto di acquisto. Non piace nemmeno a Sap, che, similmente a Microsoft, ha incontrato l’ostilità della corte di Dusseldorf: non può intimidire un potenziale cliente, sostenendo che l’acquisto di software usato rappresenti una violazione della legge. Nondimeno, il CFO della società Werner Brandt lo dichiara esplicitamente: l’azienda non vuole vedere evolvere il mercato del software di seconda mano.
A parziale conforto dei timori dei vendor arriva tuttavia l’affermazione crescente del modello “as-a-service”, che garantisce risparmi agli utilizzatori e flussi di fatturato continuativi a produttori e rivenditori. Nel momento in cui il concetto stesso di software sarà svincolato da un’idea di bene fisico, anche la rivendita di software usato perderà il suo senso. Ma fino ad allora, la convivenza sarà inevitabile.