Il 61% dei 300 Cio interpellati da Nextvalue è in procinto di sviluppare iniziative cloud. E un bell’8% ha in mente progetti da oltre 1 milione di euro. Emerge chiaramente l’aumento di consapevolezza dei benefici della “nuvola”.
Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue, sintetizza bene quello che sta dietro al cloud: rispetto ad altri trend che a ondate hanno sommerso l’It (si pensi al client server, alle dotcom, al Web 2.0, gli esempi sono infiniti), “il cloud computing è diverso perché non è un fattore It; non è una tecnologia, ma qualcosa che ha a che fare con il business. Il cloud computing cambia gli economics del sistema e permette alle imprese di adattare in tempo reale il proprio modello di business alle condizione di mercato”.
E non è una moda, o una qualcosa di distante: il cloud computing, anche in Italia, è già qui.
Basta sfogliare il Cloud Computing Report 2011, realizzato da Nextvalue in collaborazione con CioNet, e basato sulle risposte di 300 Cio di grandi aziende italiane (né medie, né tanto meno piccole).
Ebbene, il 61% dei rispondenti del panel è in procinto di sviluppare progetti cloud (entro 12 mesi). Di questi, il 69% è impegnato in un utilizzo sperimentale in aree specifiche; il 10% ha già adottato il cloud e il 16% sta pianificando progetti significativi.
Secondo la ricerca, oltre il 50% degli investimenti non supererà i 250mila euro, ma si segnalano budget da oltre 1 milione di euro nel’8% dei casi. “E bisogna tener conto – spiega Gatti – che con il cloud non si parla di licenze o di prodotti, ma di canoni”.
Questi investimenti vanno principalmente nella direzione dei sistemi email, unified communication, Crm. Al’interno di un modello che verde il cloud ibrido protagonista (51%), seguito dal private cloud (31%).
Interessante il fatto che i Cio si dividono fra l’affidarsi o meno a un nuovo fornitore: il 44% dei progetti Saas e Iaas e il 48% di quelli Paas saranno realizzati da nuovi fornitori. “Siamo all’apertura di una nuova fase dello sviluppo It – commenta Gatti – e cambiano gli scenari d’offerta”.
I Cio hanno anche detto quali sono le caratteristiche principali di un buon fornitore: deve garantire sicurezza e privacy dei dati e assicurare un adeguato livello di prestazioni.
Performance che vanno misurate end-to-end (ai morsetti esterni per fare un paragone elettrico). “Il che significa – precisa Gatti – che al Cio non interessa se le prestazioni non all’altezza siano colpa di chi fornisce il software o l’infrastruttura. Nasceranno probabilmente nuove figure di broker che si occuperanno di queste tematiche ”.
E il restante 32% che non è interessato al cloud? Quali sono i motivi che ne frenano l’adozione? Nel 36% dei casi sono stati citati i possibili rischi di compliance (privacy, conservazione dei dati). A seguire l’offerta giudicata ancora immatura (35%) e una mancanza di chiarezza su investimenti necessari e ritorni (29%).
Qui c’è una forte differenza con gli altri Cio europei, che hanno invece citato – fra le principali ragioni per non adottare il cloud – le insufficiente informazioni fornite e i dubbi di disponibilità a lungo termine dell’offerta . Il problema quindi è sul lato fornitore: ci sarà ancora fra qualche anno? Continuerà a garantire il servizio?
Al di là dell’adozione frenata da ragioni di privacy e sicurezza, emerge chiaramente un trend importante in Italia e cioè l’aumento della consapevolezza dei benefici del cloud.
Che si possono riassumere in: creazione di un’infrastruttura “agile” (citata dal 74% dei componenti del panel), risposta rapida alle richieste di business (74%), riduzione dei costi Ii (71%), migliore livello del servizio It (71%).
E vediamo se la valenza business del cloud computing possa far breccia nel top management aziendale, visto che il 40% vede un utilizzo tattico del cloud e per il 36% è indifferente.
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