Per quanto open source e virtualizzazione aiutino, non si sfugge alla logica progettuale. Lo pensa Malcom Herbert di Red Hat.
Il cloud è un’ondata di trasformazione dell’It che è stata influenzata e condizionata dalla diffusione del software open source e della virtualizzazione su sistemi hardware standard.
Lo pensa Malcolm Herbert, Director of Infrastructure Consulting Emea di Red Hat, che invita i Cio a essere prudenti: «è importante non aspettarsi risultati immediati dal cloud. Una solida base è necessaria per cogliere appieno i vantaggi del cloud computing negli anni a venire».
Si parla sempre di progetti
Come per qualsiasi sviluppo It, rileva Herbert, passare al cloud «non rappresenta un progetto una tantum. I progressi dovrebbero susseguirsi con una cadenza funzionale per chi li adotta, e garantire al tempo stesso che portabilità, gestibilità e interoperabilità rimangano valide e coerenti in tutto l’ambiente It. La strategia cloud dovrebbe sia integrare gli investimenti infrastrutturali precedenti, sia lasciare la libertà di adottare la tecnologia emergente per soddisfare nuove esigenze e aggiungerla alla struttura cloud quando il budget lo consente. La flessibilità intrinseca delle soluzioni open source è la base ideale di questo approccio evolutivo».
Il cloud, per Herbert, è un ambiente dinamico e sufficientemente flessibile per poter gestire carichi di lavoro variabili, con la possibilità di scalare, sia in alto che in basso. Inoltre, si rivela anche mobile con la possibilità di eseguire applicazioni da più postazioni e nei diversi momenti del loro ciclo di sviluppo.
Fondamentalmente, il cloud si basa sulla gestione di numerose immagini virtuali (dare loro un nome, memorizzarle, effettuare il controllo di versione e così via), e più se ne hanno da gestire, più diventa difficile configurarle.
Prendersi cura delle versioni multiple di queste immagini, effettuare aggiornamenti, patch e configurazione non è dunque un’impresa semplice.
Dati tali complessi requisiti di sistema di gestione, rileva Herbert, la standardizzazione (supportata da un ambiente operativo comune o standard) assume un’importanza primaria.
Disporre di un ambiente operativo standard è essenziale per ottenere il massimo vantaggio dal cloud. Aiuta nella gestione e contiene le complessità che inevitabilmente si presentano quando la varianza di configurazione si diffonde in tutto l’ambiente It, nelle configurazioni specifiche ed i sistemi a silo, non operanti tra loro, si moltiplicano.
La strategia di Red Hat, spiega Herbert, è di costruire e applicare un ambiente operativo standard quale tappa obbligatoria nel passaggio verso il cloud. Non appena il numero di piattaforme comincia a crescere, vale la pena, il tempo e lo sforzo di rivedere i sistemi e i processi esistenti e pianificare un ambiente operativo standard.
Senza una reale standardizzazione di piattaforme e processi è impossibile sperimentare tutti i benefici che il cloud può offrire.
«La nostra visione di fondo – dice – è che semplicemente non vale la pena di investire tempo ed energie per il trasferimento nel cloud di soluzioni e processi imperfetti. È un dato di fatto che nel corso degli anni la maggior parte delle infrastrutture It si siano evolute con una metodologia specifica e irripetibile, magari aggiungendo qua e là un server e dello storage. Pochi responsabili It si possono concedere il lusso di partire da zero nella progettazione dell’infrastruttura che sta alla base del loro business».
Nel corso degli ultimi anni, spiega Herbert, Red Hat ha realizzato soluzioni di ambiente operativo standard per un gran numero di clienti che hanno migrato da Unix a Linux.
Questi hanno scoperto che la determinazione e la creazione di un ambiente operativo standard garantisce coerenza sull’intera infrastruttura server ed elimina le configurazioni isolate e frammentate che vanno a esaurir” le risorse di gestione.
Catturare e mantenere in modo costante la conoscenza dei sistemi informatici contribuisce a creare un processo di gestione dei sistemi valido e sostenibile, con tutti i vantaggi di efficienza e le impressionanti economie di scala che la ripetibilità offre.
Ci sono grandi opportunità che l’automazione porti a processi It di system management, standard e ripetibili, che a loro volta riducono al minimo gli interventi manuali time-intensive.
Red Hat vanta una serie di clienti nel settore dei servizi finanziari che negli ultimi cinque anni hanno visto crescere la presenza di Linux nelle proprie infrastrutture, da pochi sistemi fisici a migliaia di piattaforme virtuali, capaci di gestire tanti e differenti workload. Senza un ambiente di gestione scalabile, o un sistema operativo standard, oltrepassare i cinquanta sistemi, ognuno dei quali con due o più carichi di lavoro in esecuzione, è qualcosa che semplicemente non può funzionare.
L’obiettivo che ci si pone nel creare un ambiente operativo standard, per Herbert, è quello di sviluppare standard che possano essere implementati durante le migrazioni successive, in modo che le risorse possano essere convogliate allo sviluppo di altre iniziative innovative e strategiche che aggiungano valore.
La crescente virtualizzazione dei datacenter ha fatto si che i suddetti ambienti operativi abbracciassero sempre di più le piattaforme virtuali. È sufficiente allora andare oltre il sistema operativo standard ed arricchirlo di funzionalità aggiuntive, a coprire aspetti quali customer self-service e metering, per trovarsi già in casa una soluzione cloud.
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