Il cloud è la nuova rivoluzione industriale

Dedicato a chi misura il Roi dell’It sulla produttività dello staff aziendale: la “nuvola” è la crasi migliore fra Capex e Opex, competenze e dimensioni. Positivi riflessi anche sull’occupazione, ma senza una leadership umana non c’è futuro. Parola di Patrick Kärrberg.

Da outsourcer a cloudsourcer il passo non è breve. C’è una rivoluzione industriale in mezzo. Certo è che il futuro sta proprio lì, tra le nuvole. Parola di Patrik Kärrberg, della London School of Economics, intervenuto al convegno “Virtualizzazione e cloud computing: rischi e opportunità” organizzato a Milano da Beltel e DlaPiper, uno studio legale specializzato.

Per arrivare al cloud, Kärrberg parte da lontano, dalla presentazione di una ricerca internazionale recente fatta dal suo department of management su 209 It decision maker di grandi imprese, che rileva come quasi il 40% delle società misurino il Roi in base alla produttività dello staff aziendale.

Questo in una situazione in cui si possono raggiungere risparmi nei budget che vanno dall’1 al 20% grazie alla maggiore efficienza dell’It.
Come dire che vale sempre più la regola del fare di più con meno, e della esternalizzazione, con un paradigma molto diverso rispetto all’outsourcing, come vedremo di seguito.

Se poi si chiede ai responsabili It quali sono i fattori che incoraggiano un uso più efficace delle tecnologie, la risposta preponderante è una gestione migliore dei progetti It, a seguire l’affermazione di standard tecnologici, e una migliore integrazione delle applicazioni già operanti all’interno dell’azienda.

Tutto questo fa da cappello per capire meglio quali sono le aree nelle quali adottare il cloud: opex-capex, con il cloud a fare da trait-d’union; l’up-skilling e/o il de-skilling; le piccole e medie imprese.

Kärrberg considera il cloud alla stregua di un servizio esternalizzato, che ridefinisce skill e ruoli.
Il cambio di competenze dalla gestione degli skill per l’outsourcing, da una parte, e il cloud dall’altra, è notevole: il primo si basa sull’uso di informazioni e deleghe interne, sistemi di analisi, Service level agreement, design di sistema; il cloud si caratterizza per responsabilità disperse qua e là, livelli di servizio, archettture di sistema, design service-oriented.

Da tutto questo consegue che l’It manager passa da fornitore di tecnologia a “consigliori” per le soluzioni, da interfacce interdipendenti a interfacce modulari, a una gestione del progetto It definito solo ed esclusivamente dall’architettura, e cambia il focus da componenti proprietarie ad architettura enterprise.

Sta qui, lo shift da outsourcer a cloudsourcer di cui all’inizio. Kärrberg avverte che senza una “leadership umana” non ci può essere futuro per il cloud computing in Europa.
E dice anche che le realtà più agili costituiranno il fronte avanzato di questa evoluzione, che i servizi cloud potrebbero ridurre i costi causati da guasti e difetti del sistema, che la barriera d’entrata più bassa favorisce l’ingresso delle Pmi ai nuovi servizi.

L’impatto del cloud computing sarà benefico anche per l’occupazione. Per esempio, in Italia nel breve periodo potrebbero crearsi da 35mila a 180mila posti di lavoro, a seconda che la diffusione del cloud sia lenta o rapida.
Oggi, sottolinea Kärrberg, le iniziative più importanti sembrano soprattutto finalizzate a promuovere l’innovazione enterprise. Insomma, al momento il bicchiere è mezzo pieno.

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