Il digital divide è nella nostra mentalità

Presentato a Roma un progetto Assinform che analizza Pa, banche, made in Italy, Università e Ricerca per spingere al salto di qualità nell’innovazione.

Per il presidente di Assinform, Paolo Angelucci (nella foto), il primo digital divide da superare in Italia è la sottovalutazione del ruolo decisivo che l’It ha nei processi di crescita della competitività, produttività e sviluppo del Paese. Come emerge dai consuntivi del primo trimestre 2010 sull’andamento del settore tecnologico a livello mondiale, ha fatto notare, è in atto un’eccezionale ripresa degli investimenti in It, in particolare nelle economie americana, giapponese e dei paesi emergenti, con punte di crescita del 24% in alcuni segmenti. E se l’Italia non vuole rimanere indietro, è necessario che compia un salto di qualità nell’approccio all’innovazione.

Angelucci ha espresso questo invito al convegno “Informatica per lo sviluppo del Paese”, tenutosi a Roma, funzionale alla presentazione del progetto “It per lo sviluppo”, con cui Assinform intende offrire un contributo concreto di analisi, proposte e idee su come utilizzare la leva delle nuove tecnologie per il rilancio dell’economia italiana e la modernizzazione del Paese.

“It per lo sviluppo” è un osservatorio permanente frutto di un gruppo di lavoro coordinato da Biagio De Marchis, vicepresidente di Assinform, a cui partecipano oltre 70 imprenditori e manager in rappresentanza di 35 imprese It associate.

L’analisi del gruppo di lavoro ha considerato quattro settori prioritari: settore pubblico, distretti industriali e Made in Italy, settore bancario e Università e Ricerca. La sensazione emersa durante i lavori è che occorra un nuovo approccio al governo del digitale in Italia, che sappia interpretare i nuovi livelli di trasversalità creati dal virtuale. La vera sfida, per De Marchis, è di ripensare la nostra capacità di integrazione e cooperazione.

Lo studio Assinform mette in luce alcuni fattori comuni che generano il deficit d’innovazione in Italia: disomogeneità delle infrastrutture digitali a livello territoriale e organizzativo, alfabetizzazione informatica scarsa, mancanza di consapevolezza su come l’It possa aiutare a migliorare le proprie performance, poca attenzione alla formazione continua, assenza di meccanismi stabili di collaborazione fra mondo della ricerca e imprese, basso utilizzo delle forme di cooperazione offerte dal Web 2.0, come i social network.

L’osservatorio ha però rilevato anche le best practice per ciascuno dei quattro settori, analizzando e censendo più di 200 casi italiani di successo.
Il Made in Italy è l’industria che nel 2008 ha speso oltre 7 miliardi di euro in It. Le sue best practice si registrano nell’innovazione applicata in una logica di filiera.
La Pubblica Amministrazione, che nel 2008 ha investito in It 3.780 milioni di euro, vanta buone pratiche nella dematerializzazione.
Il settore bancario, che ha investito 7.736 milioni di euro nel 2008, eccelle nella gestione dei processi.
L’Università e ricerca presenta buone pratiche con i consorzi e le associazioni fra istituzioni, che consentono di fare sistema.

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