Da delega di attività “non core”, diventa relazione strategica per acquisire capacità e competenze col contributo del fornitore. I risultati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano
L’outsourcing non c’è più. O meglio, l’outsourcing
nel senso classico del termine (delega di attività considerate “non
core”) sta lasciando il posto a uno “Strategic sourcing”,
dove le relazioni sono viste come leve per acquisire know how e competenze grazie
al contributo dei fornitori.
Sul tema, la School of Management del Politecnico di Milano ha messo a punto
l’Osservatorio ICT Strategic Sourcing, giunto alla seconda edizione, che
quest’anno ha coinvolto 40 fra imprese e Pubbliche Amministrazioni. Queste
aziende sono state analizzate con una duplice valenza: un esame generale delle
politiche di ICT sourcing a livello di portafoglio e un’indagine approfondita
su una singola iniziativa di outsourcing di particolare successo.
Il quadro tracciato dal Politecnico evidenzia dei forti elementi di discontinuità.
“Intanto – spiega Mariano Corso, responsabile
scientifico dell’Osservatorio – negli anni ’90 l’outsourcing
era subìto dai Cio. Oggi invece abbiamo rilevato che il sourcing è
fortemente governato e che c’è una maggiore consapevolezza da parte
dei responsabili It”.
Altro elemento di discontinuità è che la scelta è molto
più selettiva. I Cio hanno a che fare con un portafoglio di fornitori
e di servizi molto variegato e la stessa dinamica temporale è molto più
breve, con frequenti rinegoziazioni. “Rispetto al passato –
prosegue Corso – ha assunto una grande importanza la parte contrattualistica.
Considerando che le relazioni sono sempre più di interdipendenza e meno
di delega, diventa fondamentale definire i confini di manovra”.
In sostanza, dall’outsourcing come semplificazione si passa al concetto
di sourcing come gestione della complessità.
Che approccio quindi devono usare i Cio, per gestire questa complessità?
Dai risultati dell’Osservatorio non emerge un modello unico di successo.
Troppo peculiari sono le storie di ogni singola azienda per definire una ricetta
universale. Quello che però emerge è che la chiave fondamentale
è la coerenza fra le decisioni intraprese.
A questo proposito, il Politecnico di Milano propone una metodologia che si
basa sulla catena del valore ICT: il primo passo è identificare, all’interno
di questa catena, quali attività mantenere all’interno e quali
delegare ai fornitori. Attenzione: non è più valida la regola
di demandare al sourcer le attività non core, e tenersi in casa quelle
core. Bisogna valutare il singolo caso.
Quest’analisi di make or buy (dall’estremo di una completa esternalizzazione
a quello di una completa internalizzazione) identifica quattro profili fondamentali:
integrato (15% dei casi del panel), d’acquisto (12%), sviluppo (33%) e
gestione (40%) all’interno dei quali ciascuna azienda può ritrovarsi.
La scelta del profilo impatta fortemente sull’organizzazione Ict, sia
in termini di struttura che di ruoli e competenze. Interessante è il
fatto che la paventata perdita di competenze (uno dei timori storici nei processi
di outsourcing) nella realtà non si è verificata. Anzi in molti
casi si è assistito a un trasferimento quasi “osmotico” delle
competenze fra sourcer e cliente.
Dalla ricerca emergono cinque modelli di organizzazione dell’Ict che
rispondono ai requisiti definiti precedentemente e che vanno governati. Da qui
l’importanza delle funzioni di coordinamento e di contrattualistica.
Le scelte di outsourcing si accompagnano a valutazioni in termini di criticità
e benefici. Dalla ricerca del Politecnico emergono interessanti dati: le principali
criticità affrontate dalle aziende del panel sono state le seguenti:
- Mantenimento di livello di servizio soddisfacente (28% delle risposte)
- Scarsa proattività del fornitore (24%)
- Spesa non in linea con il budget (13%)
Mentre fra i principali benefici troviamo:
- Visibilità e controllo dei costi (22% delle risposte)
- Riduzione della complessità gestionale (15%)
- Focalizzazione sul core business (13%).
Singolare il fatto che la riduzione dei costi, citata come prima motivazione
ex ante per l’outsourcing, in realtà non risulta ai primi posti
come beneficio ex post.
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