Il Wi-Fi pubblico muove i primi passi nel mercato delle Tlc

Partito in Italia a maggio del 2003, il servizio sta gradualmente prendendo piede. La grande maggioranza degli hot spot è in mano a Telecom Italia e Tin.it. Per Centrino un ruolo da propulsore.

Da poco più di un anno, anche in Italia si può accedere a Internet, senza collegare alcun filo, mentre si aspetta la partenza di un aereo, all’aeroporto, o di un treno, alla stazione, nella hall di un albergo, su una barca ormeggiata al porto e in numerose altre occasioni. Per farlo, basta essere in prossimità di un hot spot, ovvero in un’area coperta con tecnologia wireless Wi-Fi, avere un notebook o un palmare in grado di ricevere il segnale radio ed essere abilitati al servizio da uno dei gestori che operano in questo ambito.


A maggio del 2003, dopo un paio d’anni di attesa, il ministro deIle Comunicazioni Maurizio Gasparri ha firmato l’atteso decreto che dava il via al servizio, e gli operatori, identificati come Wisp (Wireless Internet service provider) hanno potuto farsi pagare dai clienti. La normativa prevede che gli operatori presentino al Ministero una domanda, che dà loro diritto di avviare subito il servizio sulle frequenze 2,4 e 5 GHz. A differenza di quanto successo per l’Umts, le società non devono pagare per poter utilizzare le frequenze, dato che l’uso non è esclusivo.


Oggi, il Wi-Fi in ambito pubblico rappresenta un mercato piccolo e giovane, ma molto dinamico e promettente, che va inquadrato in uno scenario più ampio di servizi di mobilità. Ma l’annunciato boom non c’è stato, e non si capisce, con il senno di poi, perché avrebbe dovuto esserci: le tecnologie nuove seguono sempre una curva di apprendimento piuttosto piatta all’inizio. Invece, il Wi-Fi era stato accolto come un servizio in grado di dare nuova linfa al settore delle Tlc e, ancora prima che le regole del gioco fossero stabilite, in tanti si erano schierati ai blocchi di partenza. Nuove società sono state appositamente costituite, mentre si moltiplicavano gli annunci di sperimentazioni e installazioni pilota. Nella pratica, l’utente deve disporre di un portatile dotato di scheda 802.11b, lo standard oggi più diffuso in questo ambito, oppure basato su Centrino di Intel, il chip set che abilita al wireless il notebook, senza bisogno di installare niente. Tutti concordano sul fatto che la diffusione di Centrino avrà un ruolo cruciale nello sviluppo del Wi-Fi pubblico. Le modalità per registrarsi, e quindi cominciare a navigare, variano da operatore a operatore. C’è chi utilizza il numero di cellulare per l’autenticazione, facendo poi arrivare nella bolletta del gestore l’addebito. Ci sono poi le schede prepagate da "grattare", c’è l’acquisto online e ci sono gli abbonamenti. La prima navigazione non è mai banale, ma superato il primo ostacolo, di solito non ci sono grandi problemi: va ricordato, infatti, che si tratta di una tecnologia consolidata, con almeno dieci anni di storia alle spalle, che pertanto è poco soggetta a guasti.

Il quadro attuale


Un primo bilancio quantitativo l’ha tracciato, lo scorso aprile, il Politecnico di Milano. In uno studio sul settore, l’Ateneo rilevava nel nostro Paese la presenza di 23 principali fornitori di connettività, 800 hot spot attivi, circa 16mila utenti unici nel primo trimestre 2004 e oltre 400 accessi al giorno in media nel mese di marzo. Nel frattempo, però, il fallimento di Tc Sistema ha causato l’uscita di scena, almeno per ora, di Freestation, società controllata che aveva all’attivo 225 totem multimediali abilitati al Wi-Fi, e che era legata a Tiscali da un accordo commerciale, ormai sfumato.


L’utente tipo è un manager che ha un’età fra 35 e 55 anni. Al momento molti utenti registrati sono stranieri, perché nel Nord Europa, in Inghilterra e in Germania sono partiti prima. Tuttavia, a esclusione della Scandinavia, dove la connettività Wi-Fi è così scontata da non aver bisogno di segnalazioni, in nessun paese si è avuta un’esplosione del servizio. Negli Stati Uniti, invece, l’approccio è diverso: sono sempre di più bar e alberghi che offrono il Wi-Fi gratuitamente, per attirare i clienti. E lo scorso giugno è arrivato l’annuncio del fallimento di Cometa Networks, società nata solo 17 mesi prima con l’obiettivo di costruire negli States 20mila hot spot.

Un mercato sbilanciato


I numeri parlano chiaro. Oggi 250 hot spot sono in mano a Telecom Italia e circa 300 a Tin.it. Si sta chiaramente ripetendo un copione ben noto a chi segue le Tlc italiane dalla liberalizzazione del 1998 in avanti: il neonato mercato del Wi-Fi è già sbilanciato a favore dell’operatore dominante, che però, va detto, offre il roaming a chiunque lo chieda. In questo scenario, i nuovi entranti, soprattutto quelli che vogliono fare da soli, fanno molta fatica ad affermarsi. "Per qualsiasi nuovo servizio – spiega Achille De Tommaso, presidente di Anfov e amministratore delegato di Colt Telecom – dovrebbe essere applicato il principio del trattamento asimmetrico dell’operatore dominante nei confronti dei nuovi entranti, lo strumento principe di tutte le autorità regolatorie europee. L’incumbent non può buttarsi a capofitto in ogni nuovo mercato. Deve essere frenato, per attendere che altri operatori riprendano fiato e facciano i loro investimenti, che possono essere molto inferiori. Il regolatore italiano dovrebbe fare un esame di coscienza. Nelle Tlc italiane abbiamo ancora un operatore di monopolio che fa profitti, mentre gli altri arrancano". Senza il trattamento asimmetrico, è normale che chi ha più soldi investa di più, sia in infrastrutture sia in marketing.

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