Imprese più pesanti o leggere col decreto anticrisi?

Un seminario della Camera di commercio milanese ha fatto il punto sui nuovi aiuti alle Pmi; restano alcuni dubbi sulla piena efficacia delle misure

Qualche imprenditore lo considera una corsa a ostacoli con gli scarponi da sci; qualcun altro lo vede come un sollievo per le tasche dell’azienda. L’oggetto degli opposti sentimenti è il decreto anticrisi, approvato lo scorso giugno e poi convertito in legge ad agosto, che contiene la ricetta del Governo italiano per fronteggiare le difficoltà finanziarie delle imprese. Una misura particolarmente controversa, stando al dibattito emerso nel recente seminario organizzato dalla Camera di commercio di Milano, è la Tremonti Ter. Questa permette di dedurre dal reddito imponibile la metà dei soldi spesi per acquistare macchinari e attrezzature.

La critica principale riguarda il limite temporale (30 giugno 2010): troppo angusto considerando che i portafogli delle imprese hanno spesso le ragnatele e quindi non sono in grado d’investire subito nuove risorse. Poi ci sono i dubbi per alcune apparecchiature, come i computer, che a rigor di logica dovrebbero essere deducibili, ma sono invece escluse dalla tabella Ateco di riferimento. Proprio la tempestività delle misure è un argomento delicato. D’altronde il Governo ha dovuto fare i conti con alcuni freni, come ha ammesso Andrea Montanino, dirigente del ministero dell’Economia: l’altissimo debito pubblico e il ritardo fisiologico delle nostre istituzioni nel passare dall’intuizione politica ad una legge.

Nuovi aiuti alle Pmi
Il filo rosso dei provvedimenti anticrisi, dunque, ha dovuto mediare tra la necessità di non aggravare il deficit pubblico e quella di evitare che le imprese rimanessero in braghe di tela. Le misure del Governo vanno a braccetto con il sistema bancario – rimasto più sano che in molti altri paesi del mondo – per tamponare la stretta creditizia. Quali strumenti ha così a disposizione l’imprenditore? Per ottenere finanziamenti superiori ai 12 mesi a condizioni particolarmente favorevoli, per esempio, può chiedere alla sua banca di attingere agli otto miliardi della Cassa depositi e prestiti. Altrimenti, c’è un Fondo centrale di garanzia per le Pmi con una disponibilità di due miliardi di euro. Tale fondo può attivare finanziamenti per circa 30 miliardi, con un importo massimo di 1,5 milioni per ciascun’azienda.

Alle Pmi che hanno difficoltà nel rispettare i pagamenti con le banche, invece, è diretto l’accordo firmato tra Governo, banche e imprese (il cosiddetto “Avviso comune”) per la sospensione dei debiti. L’imprenditore, in questo modo, può sospendere per un anno il pagamento della quota capitale dei mutui o quella implicita nei canoni di leasing; inoltre, può allungare a 270 giorni le scadenze del credito a breve termine. C’è poi una nuova procedura che permette di certificare un credito esigibile da un ente pubblico, impiegandolo come garanzia per chiedere un finanziamento alla banca grazie a una convenzione con la Sace.

Terra bruciata
Dalle imprese arriva qualche segnale di ripresa, come ha ricordato il direttore economico di Assolombarda, Pierangelo Angelini. Il 28% delle Pmi milanesi afferma che gli investimenti del 2010 saranno superiori a quelli del 2008, mentre per il 40% resteranno uguali. Il 66% degli imprenditori ritiene che le condizioni d’accesso al credito siano peggiorate rispetto al 2008, ma il 30% la pensa diversamente. La crisi, come ha spiegato il prof. Giacomo Vaciago, ha colpito le industrie più che le famiglie; perciò devono essere le imprese a ritrovare slancio e capacità di reazione. La previsione più ottimista pensa che si torni a crescere al ritmo precedente la crisi, recuperando tutto il terreno bruciato dai fulmini finanziari. Nessuno ci crede, avverte però Vaciago; s’immagina piuttosto una crescita parallela a quella dei primi anni duemila, con in mezzo la terra bruciata.

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