Il vantaggio competitivo delle imprese sta nella capacità delle persone che ci lavorano. È però necessario ripensare all’intera organizzazione e ridare all’It la guida dei processi d’innovazione. Questo il parere di Giuseppe Carrella, ex It manager e oggi amministratore delegato di Tsf.
Sul ruolo dellIt manager nelle imprese è da tempo aperto un grande dibattito: cè chi vede per questa figura un lento declino e cè chi invoca un cambiamento affinché gli uomini dellEdp riacquistino il ruolo di attori dellinnovazione. Entrambi gli schieramenti concordano sul fatto che lIt nelle imprese stia perdendo smalto ed è venuto il momento di affrontare e gestire questo cambiamento. Senza più subirlo. Ma servono mezzi nuovi e convinzioni forti, come quella espressa da Giuseppe Carrella, amministratore delegato di Tsf, con una lunga esperienza da It manager: "Se vogliamo riaccendere i motori dellinnovazione dobbiamo scommettere sul change management".
Prima di tutto chi è Tsf?
"È una joint venture tra il gruppo Telecom, che ha il 61%, e Ferrovie dello Stato con il 39%. Vale 220 milioni di euro di fatturato e impiega 1.200 persone. La sua missione è la gestione in outsourcing dei sistemi informativi del gruppo Fs".
Da amministratore delegato con tanta esperienza nei Ced, come vede il ruolo dellIt manager oggi?
"Male. Questo ruolo è in crisi".
Vale a dire?
"Gli It manager non hanno più la forza per influenzare le decisioni delle imprese".
Perché?
"Perché oggi la tecnologia non è più sentita come una leva importante del business, in quanto prevale linnovazione di una specifica funzione aziendale come il marketing per merito proprio, ma anche e soprattutto per demerito della funzione It, che oggi accetta di essere banalizzata".
Come si è arrivati, secondo lei, a questa situazione?
"Dopo una lunga stagione nella quale lIt era bene o male considerata come un mezzo per acquisire un vantaggio competitivo si è poi entrati in un tunnel in cui lEdp manager era importante solo perché riusciva a ridurre i costi. Un risultato certamente importante, tuttavia è lì che è iniziato il tramonto. LIt manager in quel momento ha iniziato a non essere più un driver. Dallo sviluppo è passato alla gestione".
Ma la tecnologia non ha perso importanza?
"No, al contrario. È la sua immagine e la sua percezione presso il top management che è entrata in crisi. Se prevale lequazione It uguale a pc, allora vuol dire che si accetta di banalizzare tutta la tecnologia, tutto diventa una commodity e per gestire delle commodity non servono dei top manager".
Cè stata, però, anche una fase nel passato in cui lEdp manager riuniva le responsabilità dellIt e dellorganizzazione, non era solo tecnologia.
"Ed è stato un fallimento, anche quello. LIt deve gestire lIt, considerando lIt come una scienza, e deve influire pesantemente sullorganizzazione, ma non la deve dirigere. Per quello cè bisogno di altre competenze".
Lorganizzazione è poi sfuggita di mano allIt ma è finita sotto la responsabilità di consulenti esterni.
"È vero ed è stato ancora peggio. La cura al problema si è rivelata peggiore del problema stesso".
Per quale motivo?
"Perché con linvasione dei consulenti esterni la conoscenza dei processi è stata delegata a una cultura che veniva dallesterno, che il più delle volte era plasmata su modelli culturalmente distanti dalle nostre imprese".
Qual è, dunque, la via duscita?
"Dobbiamo capire che il vantaggio competitivo delle aziende è tutto nella testa delle persone che ci lavorano. Dirò di più, si parla tanto di mettere il cliente al centro delle aziende, ma nessuno sarà capace di farlo se prima il top management non riesce a mettere il personale al centro dellazienda".
E siamo arrivati al change management?
"Sì e sono convinto che in una fase di grande cambiamento come quella attuale si debba usare una terapia durto per riportare le aziende a pensare allo sviluppo".
Proviamo a spiegare che cosè il change management.
"È un grande movimento che deve interessare tutta lazienda e che vuole rigenerare tutti i processi mettendo le persone al centro di tutte le attività dellimpresa".
Concretamente cosa state facendo in questo momento?
"Le dico prima i tre obiettivi che ci siamo fissati: il primo è dare fiducia alle persone, il secondo è creare una squadra, il terzo è valorizzare il talento di ciascuno".
In che modo?
"Qui viene il bello. Abbiamo creato un clima di grande partecipazione con una serie di iniziative. Ad esempio abbiamo organizzato degli incontri periodici con delle personalità di svariati settori che parlavano della loro esperienza di lavoro, delle loro decisioni e del loro modo di gestire le relazioni. Cè stato lallenatore della nazionale di pallavolo, uno psicologo, un grande cuoco. Abbiamo inaugurato gli "Incontri della biblioteca"".
Lobiettivo?
"Lavorare sulla fiducia. Abbiamo cercato il confronto".
E lavete trovato?
"Il processo è tuttora attivo. Cè una serie di iniziative che stiamo portando avanti e che sta dando risultati".
Ad esempio?
"Abbiamo lanciato un progetto denominato "Fuori i secondi". Nelle aziende cè una grande quantità di talento sprecato per le più svariate ragioni, cè tanta intelligenza che aspetta solo di essere portata allo scoperto. Noi abbiamo voluto spingere tutto il nostro personale a scoprire i valori che ci sono nelle persone che ci stanno accanto e che magari da soli non emergono, stanno nascosti".
Come hanno reagito le persone?
"Benissimo, hanno capito il messaggio che sta alla base del change management: se vuoi che venga riconosciuto il tuo talento devi imparare a riconoscere quello degli altri. E questo è un bene essenziale in tutte le aziende".
Perché?
"Perché le aziende possono anche decidere di focalizzarsi sulla conoscenza e possono investire pesantemente in formazione. Però dobbiamo essere assolutamente convinti che la conoscenza è poi delle persone, sono loro che la usano allinterno o allesterno dellazienda. Spetta allazienda far fruttare il potenziale di conoscenza che è in ogni persona. Non è affatto banale".
Risultati concreti?
"Un altro esempio, quello che considero il più significativo: siamo riusciti a riconquistare le nostre persone a quello che chiamiamo la logica dellartigiano. Infatti lartigiano tutte le sere, dopo aver finito di produrre, dedica una parte importante del suo tempo ai propri strumenti di produzione, li pulisce, li sistema, li prepara a unaltra giornata di lavoro. Dedica una parte importante del proprio tempo a progettare una nuova giornata di lavoro. Per il nostro personale lo strumento di lavoro principale si chiama conoscenza. Ed è alla conoscenza che ogni giorno il nostro personale sente di dedicare una parte importante del proprio tempo per prepararsi a fare meglio il giorno dopo. È un investimento per lazienda e per se stesso. Tornando agli It manager, il change management è una straordinaria occasione per questa figura per recuperare il suo ruolo di guida allinnovazione e dunque alla conoscenza nelle aziende".
In che modo?
"La conoscenza è come il latte fresco, ha una data di scadenza molto ravvicinata, per questo in azienda servono figure in grado di guidare i processi di acquisizione e di distribuzione della conoscenza in modo rapido ed efficace. LIt è una di queste figure. Deve, però, rompere lequazione di It uguale a pc, deve ridare allIt il ruolo di scienza che le spetta e deve trasmettere il valore del proprio lavoro".
Con il change management le cose cambiano?
"Certo. Si riesce a far riprendere alle persone il gusto delliniziativa, si riesce ad avere un coinvolgimento del top management anche sui temi dellinnovazione. Si ha più forza per affrontare quello che rimane il rischio di fondo per ogni imprenditore o manager in qualunque impresa si trovi".
Vale a dire?
"Che con linnovazione ci si gioca la carriera. Il change management permette di rimettere in moto i processi di innovazione, ma ci vuole comunque coraggio".