Sbarcare in India come e perché Le opportunità potrebbero nascere su diversi fronti tecnologici, mentre lo sviluppo economico del Paese non esclude interessi a livello di acquisizioni. Ma anche altre nazioni sono sotto la lente degli operatori Ict
È al decimo posto tra i 29 mercati emergenti (fonte Eiu, Economic intelligence unit) ed è segnalata come una di quelle nazioni che, in confronto alla Cina, presenta un rischio minore. Stiamo parlando dell’India, ovvero di una realtà che sta progressivamente cambiando forma di fronte alle potenzialità di un mercato libero che non si vuole lasciare sfuggire. Ma la “lotta” è appena cominciata. E pure l’attrazione di investitori. Peccato che in questo contesto l’Italia stia a guardare e non brilli per fondi “devoluti” al business in India. Gli unici conti su cui si può ragionare sono i 23 progetti di investimento partiti dal gennaio del 2004 per una somma di 12 milioni di dollari. A onor del vero va detto che a Bombay operano uffici di rappresentanza di diverse banche italiane (Banca Nazionale del Lavoro, Banco Popolare di Verona, Unicredito Italiano, San Paolo Imi e Banca Intesa), ma manca una vera e propria attività diretta di intermediazione.
Ma perché andare in India? E chi del nostro settore potrebbe interessarsi a un Paese così “lontano”? Per capire potenzialità e anche come muoversi da queste parti Computer Dealer&Var ha interpellato una guida di eccezione:
Anilkumar D. Dave, consulente e analista di progetti Ict tra l’Italia e il suo Paese d’origine. Lui, esperto di project management, sottolinea subito come «l’India sia pronta per il “made in Italy”. E soprattutto per le software house italiane».
«Secondo un recente studio della Banca Mondiale – spiega Dave – l’India è la meta preferita delle società di software per via della qualità del prodotto indiano e della competitività a livello di costi. I vantaggi e le opportunità offerte dall’industria indiana dell’It hanno portato le maggiori multinazionali del settore a stabilirvi le proprie operazioni. Nell’ultimo periodo si sta assistendo a una graduale trasformazione dei rapporti con l’India (software outsourcing, Bpo ecc.) raggiungendo lo status di “research outsourcer”, quindi di partner in grado di fornire valore aggiunto e non solo servizi puntuali a basso costo.
Adobe ha investito di recente 50 milioni di dollari nelle unità di R&S in India e ha sviluppato un centro di ricerca per 20 milioni di dollari come in passato già avevano fatto Cisco, Ibm, Sgs, Thomsone altri».Gli fa eco Giuseppe La Commare, direttore di Ds Data Systems: «Andare in India, per chi produce software, è allettante. Compagnie di tutto il mondo stanno guadagnando competitività usando servizi di software indiani che offrono alta qualità, efficacia dei costi, risparmio di tempo, tecnologie all’avanguardia e soprattutto affidabilità».
Attenzione, però: l’India non è distante solo geograficamente, ma anche culturalmente. E mentre è ben vero che l’idioma anglosassone è molto diffuso, bisogna fare i conti con 23 lingue ufficiali e con un sistema giuridico particolare. Nonostante sia un Paese che ha pienamente assimilato le politiche del libero mercato, risulta essere, secondo una ricerca effettuata dall’Heritage Foundation in collaborazione con il Wall Street Journal, al 118° posto tra le economie mondiali in base al loro livello di apertura al commercio e agli scambi internazionali. E poi questa enorme nazione pare essere un Paese problematico anche dal punto di vista logistico. Non è un mistero la quasi totale mancanza di infrastrutture in grado di collegare tutte le località.
L’India, così come la Cina, è sì in un periodo di forte espansione economica, ma è anche afflitta da tutto ciò che consegue uno sviluppo rapido e sorprendente, quindi, metropoli-giungle abitate da alcuni milioni di abitanti, infrastrutture praticamente inesistenti, fatti salvi i collegamenti aerei o i molto folkloristici viaggi in treno o autobus.
Collegamenti
con l’Italia
Ma l’arrivo in volo si fa sempre più facile: l’Alitalia ha intensificato i voli da e per l’India, aggiungendo al collegamento Milano-Bombay anche quello di Nuova Delhi. Andare, ma anche venire: quello che vogliamo far notare è che data la loro ricchezza, le aziende di Bombay potrebbero anche essere interessate a fare acquisti in Italia.
Tornando al tema del software, Dave fa notare che «dal 1995 l’industria indiana dei servizi informatici e del software è cresciuta a un tasso composto di crescita annuale del 56,3 per cento. E si prevede che questa tendenza continui nel Terzo Millennio. La ragione di questi risultati è il forte consolidamento e l’accresciuta credibilità di cui gode il software indiano nel più ampio mercato del mondo: gli Stati Uniti d’America dove l’India esporta più del 60% della propria produzione di software».
Opportunità per gli operatori italiani sono offerte anche dal settore dell’energia elettrica, sia sul versante della realizzazione delle infrastrutture, sia su quello delle prestazioni di servizi di produzione, trasmissione e distribuzione di energia.
«Un requisito importante per questo vantaggio tecnologico indiano – sottolinea Dave – è stato il potenziamento del settore delle telecomunicazioni indiano, sostenuto, come è stato finora, dai massicci investimenti provenienti dal settore privato. Non c’è da meravigliarsi se il settore Tlc ha registrato un boom nel 1999-2000 con un flusso di investimenti esteri di più di un miliardo di dollari. In aggiunta a ciò, ci sono i progetti dei collegamenti via satellite e con cavi sottomarini che aumenteranno la larghezza di banda di più di trecento volte nei prossimi cinque anni. Tutto questo in aggiunta alla rete wireless costituita su piattaforme 3g, Wap e Bluetooth e ai recenti accordi firmati con la rete Galileo.
L’obiettivo è quello di fornire fino a 300 Gb di connettività internazionale».
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