Industrializzare il cloud fa togliere i freni all’innovazione

Il binomio fra Ibm e SoftLayer normalizza l’offerta IaaS portandola a un maggior numero di imprese. La standardizzazione diventa un valore per tutta la catena cloud. Parlano Cereda e Brasca.

Che Ibm indirizzi da tempo una strategia cloud lo dicono i fatti.
Con più di un centinaio di soluzioni proposte in modalità SaaS, oltre 25 centri di delivery cloud, 37mila esperti del settore a disposizione di clienti di ogni dimensione, l’offerta Big Blue non teme eguali in un ambito in cui, dal 2007 a oggi, sono stati investiti oltre 6 miliardi di dollari in acquisizioni.

Tra queste c’è SoftLayer, società specializzata in hosting e servizi gestiti che, a sorpresa, in Italia conta già 130 clienti e il cui General manager Emea, Jonathan Wisler, è di recente transitato a Milano per testimoniare tutto il buono di un portafoglio IaaS utile, come già sostenuto in questa intervista da Ibm, a sfatare i limiti concettuali che circoscrivono all’area tecnica il cloud.

Al fianco di Wisler, dopo aver speso gli ultimi due anni alla direzione dell’hardware, è, proprio, Enrico Cereda (nella foto), Vice president dei Global Technology Services di Ibm Italia, a sottolineare la volontà della corporate «di far leva con la propria offerta cloud end-to-end sull’intero ecosistema dei partner, Managed service provider compresi, sfruttando la presenza privilegiata, di Ibm Italia in primis, nel mondo delle Pmi».

Una vision in cui la nuvola «non è un pezzo della strategia ma la piattaforma abilitante per costruire servizi innovativi e progetti social, di analytic e mobile che, al di là dei Cio, rendono il cloud elemento differenziante anche per i general manager, i Ceo, i direttori marketing e del personale e per chiunque, oggi, abbia disposizione una parte del budget It in azienda».

Non solo nelle aziende di medie e grandi dimensioni, torna a ricordare Cereda.

Vero è, come sottolineato da Alessandra Brasca, Cloud leader di Ibm Italia, che la crescente volontà da parte di tutti di ingaggiare i clienti in maniera diversa, di agire sulla loro experience e di utilizzare meglio gli analytic per attuare una più corretta strategia di mercato «richiede un’evoluzione del modello It che sappia integrare il “system of engagement”, ossia la capacità di interagire con clienti, partner e fornitori, con il cosiddetto “system of record” offrendo, di fatto, un’It industrializzata secondo un modello Software as a Service in linea con le esigenze del business».

Da un cloud di commodity a un cloud di valore
Per Ibm quella cui stiamo assistendo è, infatti, una nuova fase del cloud.
«Al suo interno, chi si occupa di It necessita, sempre di più, di un modello di sourcing differenziato e in grado di mettere insieme applicazioni e workload con ambienti tradizionali da integrare sia in termini di governance che di dati visualizzabili in un unico modo, con le medesime policy e gestione della sicurezza attuate nel proprio datacenter, indipendentemente da dove sono dislocate le risorse».

Fortemente personalizzabili, flessibili e basate su standard aperti «per consentire di portare le soluzioni su ambienti diversi», le soluzioni cloud proposte da Ibm si adoperano per realizzare «un’evoluzione del datacenter verso un modello ribattezzato Dynamic Hybrid – dettagli Brasca – all’interno del quale i servizi vengono reingegnerizzati e fruiti in modalità self-service».

Da qui la strategicità dell’ingresso, lo scorso agosto, nella compagine Ibm di SoftLayer cui, a ottobre, si è aggiunta la soluzione proposta da Xtìfy, che indirizza funzioni mobile con gli analytic per realizzare in maniera diretta campagne di marketing, e l’acquisizione di Trusteer, focalizzata nella gestione del rischio legato alle frodi su dispositivi mobili, «utili a espandere il cloud Ibm su nuovi modelli di delivery e di servizi gestiti».

Proprio in quest’ultimi è specializzata SoftLayer che, dopo 8 anni sul mercato, oggi annovera 21mila aziende clienti, soprattutto nella fascia Pmi, per le quali è a disposizione una global private network supportata da 13 datacenter e 100mila server e un portafoglio che, dai servizi, arriva a comprendere tutto quello che serve a un ambiente It controllabile via mobile anche da remoto.

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