Innovazione, i 25 ostacoli denunciati dalle Pmi

Una ricerca promossa dalla Cna di Roma non solo ha fatto emergere le cause dei ritardi sul fronte della modernizzazione del tessuto produttivo, ma anche gli “umori”, le sollecitazioni e le proposte delle aziende.

Come si
pongono le piccole e medie imprese di fronte alla sfida dettata
dall’innovazione? E’ quanto si è chiesta la Cna di Roma, che ha promosso la
ricerca “La predisposizione delle piccole imprese verso
l’innovazione”, per far emergere
non solo le cause dei ritardi sul fronte della modernizzazione del tessuto
produttivo, ma anche gli “umori”, le sollecitazioni e le proposte
delle aziende, i principali attori del cambiamento. Lo studio ha permesso innanzitutto di creare una lista delle criticità, che comprende ben 25 fattori.

I problemi
strutturali vanno dalla ridotta dimensione aziendale del tessuto
imprenditoriale italiano (le piccole e medie aziende costituiscono circa il 95%
di tutto il settore produttivo) all’insufficiente domanda di servizi a causa di
un’innovazione italiana legata più a design e creatività che non alla
tecnologia; dall’atavico divario tra Nord e Sud fino all’invecchiamento
demografico (siamo il secondo paese più “anziano” d’Europa), con
ricadute sull’età media dei titolari d’azienda e sulla diffusione delle nuove
tecnologie.

Ci sono poi
i mali prodotti dalla cattiva politica: l’iper-tassazione delle aziende (che
tocca l’apice a Roma con il 74,4%); la burocrazia fatta del ginepraio di norme,
del continuo mutare delle regole, dell’astrattezza dei tempi, dell’episodicità
e dell’incertezza dei flussi di finanziamento; il clientelismo che favorisce la
lealtà familistica rispetto all’inventiva; il debito pubblico; la scarsa
collaborazione tra pubblico e privato, che circoscrive e scoraggia i processi
d’innovazione; lo scadimento ambientale che danneggia il business legato
all’immagine del territorio; il deficit di reputazione. Su tutto – evidenza la
ricerca – le politiche evanescenti nell’attribuire priorità alla scienza e
alla tecnologia con adeguate risorse finanziarie.

Non minori i
problemi economici e sociali: la mancanza di fonti finanziarie e le difficoltà
di accesso al credito
; la dequalificazione del capitale umano (siamo ultimi in
Europa per percentuale di laureati); l’alto costo del lavoro e la bassa
produttività; l’euro forte, che frena l’export; il crollo di investimenti
esteri, più che dimezzati dal 2007 a oggi; la limitata diffusione delle
tecnologie (basse interazioni telematiche, presenze sul web e ritardi
nell’aggiornamento dei servizi); la difficoltà delle partnership e i problemi
di comunicazione. Completano il poco esaltante quadro i tassi record di
malaffare, la marginalità dell’innovazione etica e il peso dell’economia
sommersa, piaga per la competizione leale.

La maggior
parte dei titolari di piccole e medie imprese ricorda che solo con un serio
impegno nella rimozione di queste “palle al piede” sia possibile
liberare le energie del rinnovamento presenti, il più delle volte, in forma
embrionale.

In effetti,
data la mobilità degli interessi e altri fenomeni globali approfonditi nello studio
della Cna, gli elementi di ottimismo per le piccole e medie imprese non
mancano, purché si riesca a recuperare in fretta il tempo perduto. In
particolare, si segnala la crescita delle spin-off universitarie (di buon
livello medio), tornano ad aumentare i numeri delle imprese, dei marchi e dei
brevetti e si sta affermando il fenomeno delle start-up, attente
anche alle ricadute sociali e ambientali.

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