Italia, leader europeo della contraffazione

Le stime parlano di un business con un giro d’affari fra i quattro e i sette miliardi di euro

L’ultima notizia arriva da Novara dove Renzo Cimberio, imprenditore,
proprietario di un’azienda di rubinetterie ha denunciato la clonazione di un
milione di rubinetti uguali ai suoi. E in Perù c’è la possibilità che produttori
cinesi registrino il marchio made in Italy. Non più solo prodotti copiati ma
anche marchiati come se arrivassero veramente dalla Penisola.


Uno dei tanti episodi del business del falso che secondo le
stime di Wto e Ocse negli ultimi dieci anni a livello mondiale è cresciuto del
1.600% e che raggiunge un fatturato di 450 miliardi dollari che scendo a 2-300
miliardi secondo i dati della Commissione europea.



A questo business illegale anche l’Italia offre il suo contributo con un giro d’affari che, sempre secondo Wto e oCse, varia dai quattro ai sette miliardi.
Una forchetta un po’ larga giustificata dalla difficoltà di rilevazione in un settore dai contorni difficili da definire.
Questi dati regalano alla Penisola il primato europeo della contraffazione che occupa il 12% della manodopera in nero e ha un’evasione fiscale che raggiunge il 17% del Pil.


La moda è il settore più colpito (60%) seguita da
alimentare, orologeria, componentistica, audiovisivo e software. Questo festival
della contraffazione, che ha i suoi punti nevralgici a Napoli, hinterland
milanese e nella provincia di Prato, ha provocato la perdita di quarantamila
posti di lavoro in dieci anni, un mancato introito fiscale pari all’8% del
gettito Irpef e al 21% del gettito Iva.

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