Prosegue il nostro viaggio attraverso Industria 4.0. Come abbiamo visto nel precedente articolo, l’idea di una Industry 4.0, o per essere più corretti Industrie 4.0, è nata in Germania. Ma fin da subito ha attecchito anche nel nostro Paese. Cerchiamo di capire perché.
Italia e Germania a braccetto per l’Industry 4.0. O almeno è quello che sperano i colossi germanici che stanno guidando la quarta rivoluzione industriale. Con uno dei due settori manufatturieri più importanti del continente (l’altro è quello tedesco) la Penisola è un mercato formidabile per le imprese tedesche che vedono rosa per quanto riguarda la nostra economia. In occasione del 10° Forum economico Italo-tedesco che si è svolto nei giorni scorsi a Milano Erwin Rauhe, presidente della Camera di Commercio italo-germanica (Ahk Italien), ha spiegato che “In Italia le condizioni dell’economia stanno migliorando e la fiducia delle imprese tedesche nel mercato cresce di conseguenza. Il nostro recente Ahk Wolrd Business Outlook registra che più della metà delle imprese intervistate prevede una crescita del proprio business nei prossimi 12 mesi e nello stesso periodo quasi un’azienda su due intende anche aumentare gli investimenti“.
A sua volta, Joerg Buck, consigliere delegato di Ahk, ha rilevato che “dopo aver superato nel 2015 il massimo storico di esportazioni italiane in Germania, nel 2016 potremmo addirittura sorpassare i record passati“.
Industry 4.0 motore della crescita
Industria 4.0 è una delle chiavi di questa crescita dell’export anche perché lo studio realizzato da Ahk con la società di consulenza Roland Berger, afferma che anche le aziende italiane sono consapevoli dell’importanza del cambiamento e pronte a investire. Per quanto riguarda la digitalizzazione delle fabbriche gli investimenti vengono indicati come ‘sostenibili’ se hanno un ritorno entro 2-4 anni.
In Italia però, spiega lo studio, due media aziende su tre ammettono di non essere ancora pronte per l’automazione, cloud computing e digitalizzazione di processi e produzioni. Stanno meglio, a parole, le piccole imprese impreparate nel 35% dei casi. Ma il forte dubbio è che non sappiano bene di cosa stanno parlando visto che gli esempi di Industry 4.0 in Italia riguardano meno del 10% delle realtà produttive della Penisola.
La filiera deve essere 4.0
Il problema, ha ricordato Jörg Buck è che l’impresa 4.0 non è competitiva in sé, ma lo diventa se anche la filiera è tecnologica. Per questo i tedeschi, che hanno un sistema industriale fortemente integrato con molte aziende italiane, si preoccupano dell’afflusso di soluzioni per sensori e big data verso le aziende italiche. Se il passo lo fanno solo loro rischia di portare pochi vantaggi e se il passo non lo facciamo anche noi il rischio è di essere tagliati fuori.
Altri dati dell’indagine li ha presentati Roberto Crapelli, ad di Roland Berger. Secondo un campione di 250 top manager di aziende italiane, il 92% riconosce le opportunità di Industry 4.0 (67% delle piccole imprese, 92% delle grandi), il 29% la vede come uno strumento per risparmiare sui costi e il 47% è convinto che la tecnologia possa portare ricavi grazie al miglioramento della produttività e una crescita dei ricavi.
Per arrivare alla digitalizzazione bisogna comunque investire un sacco di soldi. Altri dati della Bdi, la Confindustria tedesca, dicono che la gli investimenti in automazione e digitalizzazione costeranno alle imprese tedesche investimenti per 6,7 miliardi di euro da qui al 2025. Per un incremento di valore aggiunto, nel comparto logistico del 17% nello stesso periodo (pari a 350 miliardi di euro), nella meccanica del 10% (sino a 215 miliardi) e nella chimica del 5% (sino a 40 miliardi).
La Commissione europea ha recentemente licenziato un piano da 50 miliardi, tra risorse pubbliche e private, ma per l’Italia le stime di Roland Berger parlano di investimenti aggiuntivi di 5-6 miliardi l’anno da qui al 2030. “un obiettivo non impossibile rispetto ai normali investimenti industriali, che sono tra i 20 e i 25 miliardi”. Sempre Roland Berger, però, nel suo readiness index ci piazza nel gruppo più basso fra i paesi “esitanti”. Molto distanti dalla Germania.