Nonostante il recente declassamento dell’Italia nell’indice Ipri, anche nel nostro Paese si sta diffondendo un atteggiamento che guarda non solo all’aspetto repressivo
L’Italia arranca nella difesa della proprietà intellettuale: è di pochi giorni fa la notizia del declassamento del nostro paese nella speciale classifica Ipri, che misura la difesa della proprietà intellettuale da parte dei singoli Stati. L’Italia è precipitata al 40° posto nel mondo, in discesa rispetto al 27° posto del 2006, e si è piazzata all’ultimo posto dei paesi dell’area Euro, appaiata al Botswana e alla Tunisia. Il dato rappresenta un problema per il Made in Italy, ma in realtà il tema della proprietà intellettuale va al di là della semplice lotta contro la contraffazione, come emerso anche in un recente convegno organizzato a Milano da Assolombarda, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Vittorio Chiesa del Politecnico di Milano, Marco Marzano de Marinis della Wipo e Alcide Luini della Fondazione Italia Cina.
La classifica Ipri (file .pdf) |
La definizione di proprietà intellettuale
Innanzitutto è opportuno chiarire che cosa si intende per proprietà intellettuale: nonostante in Italia questo concetto sia stato spesso confuso con quello di diritto d’autore, le organizzazioni internazionali intendono con questo termine ogni tipo di creazione (che possa essere valutata economicamente) alla base della quale ci sia un processo intellettivo umano. Il riferimento perciò è sia a produzioni di tipo letterario che tecnologico, compresi i diritti di proprietà industriale come marchi, brevetti e quant’altro. Un altro aspetto, distinto dalla proprietà intellettuale, che è comunque considerato sempre degno di maggiore attenzione, è il cosiddetto capitale intellettuale, ovvero l’insieme delle risorse a disposizione di un’azienda. In questo concetto sono ricompresi i segreti industriali, il capitale organizzativo, i metodi di processo (i cosiddetti business methode), e tutti quegli strumenti intangibili che garantiscono vantaggi di competitività alle imprese ma che non sono propriamente legati a un registro dei marchi o brevetti. Si tratta di aspetti che attualmente sono tutelati da un punto di vista legale negli Stati Uniti ma non in Europa.
Un’economia sempre più basata sulle idee
Definizioni a parte, proprietà e capitale intellettuale giocano un ruolo sempre più importante nell’economia contemporanea: oggi gli assetti intangibili (idee, innovazione) sono ben più importanti dei classici fattori materiali come terra, scorte di magazzino, ecc. Lo dimostra il recente e, per certi casi sorprendente, sviluppo economico di piccoli Paesi che hanno saputo scommettere su innovazione e tecnologia, come Irlanda, Paesi baltici, Corea del Sud. Ma, nonostante questa rivoluzione, le imprese occidentali continuano a lamentare un gap nella conoscenza della proprietà intellettuale: nonostante i loro processi produttivi siano ancorati nella stragrande maggioranza dei casi a un conoscimento intellettuale, questi aspetti quasi sempre non sono adeguatamente protetti; d’altro canto la proprietà intellettuale è invocata da imprese e politici in maniera “repressiva” , per ottenere protezione da possibili falsificatori.
La necessità di un utilizzo strategico
L’atteggiamento repressivo non è di per sé sbagliato, convengono gli esperti, ma non è più sufficiente nell’attuale economia della globalizzazione: le imprese devono imparare a guardare alla proprietà intellettuale da un punto di vista più aperto rispetto al passato. Per competere nell’attuale scenario, infatti, è sempre più importante aumentare la possibilità accedere a un ampio portafoglio di tecnologie, idee e conoscenze che permettano di velocizzare l’innovazione, riducendo nel contempo i rischi e i costi per la singola azienda. Si tratta, insomma, di utilizzare in modo pratico e strategico la proprietà intellettuale: da un lato registrando le proprie idee e brevetti per ottenere ritorni economici grazie alle royalties, completamente prive di costi e, dall’altro lato, favorire scambi e relazioni con imprese concorrenti, Università e centri di ricerca.
La sensibilità delle imprese italiane
Come dimostra il tonfo nella classifica Ipri, la maggior parte imprese del nostro paese non ha ancora ben recepito questo tipo di messaggio. Il tessuto economico del nostro paese è costituito infatti in larga parte da piccole e piccolissime aziende che percepiscono il tema con una certa riluttanza, considerandolo di appannaggio esclusivo delle grandi imprese o delle multinazionali. I costi di registrazione dei brevetti a livello internazionale, inoltre, scoraggiano ulteriormente le Pmi. Nonostante queste difficoltà strutturali, le statistiche internazionali segnalano anche alcuni dati positivi: oggi il 6% delle imprese italiane nasce proprio in seguito alla registrazione di un brevetto. Le nuove generazioni di imprenditori, poi, sembrano avere una maggiore sensibilità rispetto a questi temi. Il fondatore e presidente di Geox, Mario Moretti Polegato, ha più volte sottolineato come la tutela proprietà intellettuale costituisca uno dei punti fondamentali per l’innovazione del Made In Italy, e ha lamentato l’assenza di un unico Ufficio Brevetti Europeo che consenta agli attori economici di avere a che fare con un unico interlocutore e di fruire di una tutela più piena.
Un nuovo approccio culturale
Come accennato in precedenza, le resistenze a questo nuovo tipo di approccio sono soprattutto di tipo culturale: la proprietà intellettuale, soprattutto in Italia, non è mai stata considerata una materia importante ed è spesso inserita nei programmi universitari solo come insegnamento complementare. Per rimediare a questo deficit culturale, oggi Università e imprese cercano di creare nuove figure professionali, capaci di gestire queste tematiche non solo da un punto di vista giurisprudenziale, ma anche in una logica di vero e proprio sfruttamento commerciale. L’Istituto per il Commercio Estero, in collaborazione con il Politecnico di Milano, ha avviato un corso di post-laurea in tutela della Proprietà intellettuale con specializzazione sul mercato cinese. La facoltà di Studi Politici e per l’Alta Formazione Europea e Mediterranea “Jean Monnet” della Seconda Università degli Studi di Napoli, ha organizzato un Master in Proprietà Intellettuale, Concorrenza e Mercato: l’ambizione è di formare manager dell’innovazione in grado, non solo di identificare e proteggere gli attivi immateriali di un’impresa attraverso li strumenti più adeguati (brevetti, segreti industriali, marchi, diritto d’autore), ma sopratutto di valorizzarli dinamicamente in una logica business.