La storia del Trusted Computing Group

Alla fine del 1997 in IBM fu approvato e messo in opera il progetto ESS, “Embedded Security Subsystem”: i desktop NetVista e i portatili ThinkPad incorporavano un chip di controllo, ma la cosa passò sotto relativo silenzio. Diverso è il “Processor ID N …

Alla fine del 1997 in IBM fu approvato e messo in opera il progetto ESS, “Embedded
Security Subsystem”: i desktop NetVista e i portatili ThinkPad incorporavano
un chip di controllo, ma la cosa passò sotto relativo silenzio.

Diverso è il “Processor ID Number” del Pentium III. La
questione relativa è passata alla storia come un altro tentativo d’inserire
un identificativo del dispositivo a scopi di controllo orwelliano, ma Robert
Colwell, leader del progetto P6 che portò anche al PIII, la racconta
diversamente. In origine, già negli anni ’80, su ogni chip erano
stati inseriti dei fusibili per determinare a quale lotto appartenesse il chip,
ivi compresa la posizione sul wafer di produzione.

Lo scopo era sì un maggior controllo, ma sugli scarti di produzione.
Nel 1998 il marketing aziendale ritenne di poter sfruttare questo numero come
vantaggio, chiedendo che fosse accessibile dall’esterno e promuovendolo
in TV nel gennaio 1999. Il mondo intero si ribellò, e Intel abbandonò
l’idea.

Ovviamente Intel ed IBM facevano parte del gruppo di aziende che fin dall’inizio,
già nel 1999, promosse la TCPA, Trusted Computing Platform Alliance.
Le altre aziende erano Compaq, Hewlett-Packard e Microsoft. Dalle ceneri di
questo primo sforzo, nel 2003 nacque il Trusted Computing Group (TCG). I fondatori
sono AMD, HP, Infineon, Sun, IBM, Microsoft, Intel; nel 2006 si registrano anche
Infineon, Seagate e Wave.

Finora sono state rilasciate tre specifiche:

  • TPM, Trusted Platform Module (TPM)
  • PC Specific Implementation Specifications
  • TSS, TCG Software Stack Specifications.

Un altro nome spesso associato al TPM e a Palladium è “Fritz
chip
”. Si tratta sempre del TPM, che ha acquisito questo nomignolo
dal senatore statunitense Ernest “Fritz” Hollings: anni fa egli
ingaggiò una battaglia per promuoverne l’obbligatorietà su tutta
l’elettronica di consumo. Dopo un primo tentativo abortito nel gennaio 2001,
nel marzo 2002 quel senatore ripropose il “Consumer Broadband and Digital
Television Promotion Act”, che obbliga i produttori di dispositivi tecnologici
e di largo consumo a prevenire la riproduzione di media file non autorizzati.
Gli scenari più pessimistici paventano un “Fahrenheit 451”:
in quel romanzo il rogo toccava ai libri di carta, mentre secondo l’amico
Fritz tal mesta sorte toccherebbe a tutti i PC, palmari ed MP3 non equipaggiati
del miracoloso dispositivo di prevenzione.

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