La valutazione del rischio di credito nelle operazioni con l’estero

La riforma del sistema di sostegno all’internazionalizzazione non è stata attuata nei tempi dovuti, ma il problema del rischio di credito rimane per le imprese che operano con l’estero. Sace e le banche possono darci importanti informazioni per capire come valutare e coprire il rischio di credito.

Prima di affrontare il tema centrale di questo intervento, facciamo il punto su quanto si doveva fare e non si è fatto nel campo del sostegno pubblico all’internazionalizzazione.
Nel febbraio scorso scadevano le deleghe al governo per l’emanazione dei decreti legislativi previsti dalla legge 99/2009, che riguardavano:

  • l’emanazione di un Testo unico, cioè di un decreto legislativo recante norme per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di internazionalizzazione delle imprese, con lo scopo di riunire e coordinare tutte le disposizioni legislative vigenti in questa materia;
  • il riordino e la razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese (in particolare Ice, Simest, Finest e altri), e degli strumenti di incentivazione per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese.

Per l’ennesima volta, dunque, la riforma di questa materia slitta nel tempo in modo indefinito: una riforma a costo zero, che avrebbe portato indubbi benefici alle imprese, alle banche ed agli stessi enti pubblici interessati, in termini di razionalizzazione della spesa e delle attività di sostegno.
Poiché nessuno si è mai dichiarato contrario a queste revisioni della normativa, dovremo attendere un’altra legge, altre deleghe, sperando che questa volta siano effettivamente emanati i decreti legislativi (che del resto sono pronti da anni, con poche necessarie modifiche, almeno per quanto riguarda il Testo unico). È dal 2003 che andiamo avanti così: e dire che le esportazioni sono, di fatto, uno dei pochi motori trainanti della nostra economia. Tuttavia pensiamo che, se le parti più direttamente interessate, e cioè banche ed imprese, attraverso le loro associazioni di categoria, non si impongono con un’azione di pressione sul governo per ottenere questi risultati, queste riforme tarderanno ad arrivare ancora per qualche anno.

Valutare il rischio di credito
Nello scorso numero abbiamo affrontato un problema fondamentale nelle operazioni con l’estero, e cioè quali sono i rischi che un esportatore deve affrontare quando vende merci o servizi verso l’estero, o un investitore costituisce una partecipata all’estero. Abbiamo visto che, a parte i rischi di natura finanziaria, il nucleo centrale di questa problematica è costituito dal rischio paese, che racchiude in sé gran parte degli altri pericoli che una nostra impresa affronta quando opera con l’estero.
Da queste indicazioni partiamo, in questo e nei prossimi interventi, per rispondere a due domande fondamentali: come valutare il rischio paese e il rischio commerciale quando si effettuano delle esportazioni o degli Ide? E quali strumenti usare per coprirsi da questi rischi?
È possibile valutare il rischio di credito di una singola contropartita (rischio commerciale) in termini tradizionali, basandosi sulla raccolta di una serie di dati e informazioni, come ad esempio:

  • precedenti esperienze di pagamento con la stessa controparte;
  • bilanci e conti economici del debitore e dell’eventuale garante;
  • se esistenti, quotazioni di mercato dei titoli azionari e obbligazionari emessi e rating attribuiti dalle varie agenzie specializzate (ma questo si verifica solo per poche grandi imprese internazionali);
  • valutazione della posizione concorrenziale del compratore nel proprio mercato domestico e nei mercati internazionali, in termini di facilità di accesso sia ai mercati di approvvigionamento sia a quelli di vendita;
  • disponibilità di adeguate risorse finanziarie ed umane;
  • informazioni da società di rating commerciale (come Dun & Bradstreet, Lince, e altre);
  • informazioni da altri fornitori e da fonti bancarie.

Da un punto di vista pratico, il rischio commerciale risiede o in capo all’impresa acquirente/debitrice o in capo alla banca garante. Questo secondo caso è più semplice: banche e assicurazioni conoscono la gran parte delle banche operanti sui mercati internazionali, che possono ad esempio emettere crediti documentari o garantire titoli di credito o altri impegni di pagamento del debitore. Quindi occorre vedere se una nostra banca è disposta a “comprare” questo rischio (confermando un credito documentario o acquistando i titoli di credito garantiti) ed a che prezzo; oppure se un’assicurazione è disposta ad emettere una polizza a copertura del rischio su tale banca, e quale premio chiede.
Nel caso di un debitore corporate senza garanzia bancaria, le fonti di conoscenza migliori sono la diretta conoscenza e la disponibilità e il pricing di banche ed assicurazioni a finanziare/coprire tale rischio. Se non si conosce un debitore, e non si trova nessuna banca o compagnia di assicurazioni disposte a darci una copertura, l’unica soluzione possibile è un pagamento completamente anticipato, e non molti saranno disposti a concederci una soluzione di questo genere.
La valutazione del rischio paese è senz’altro un’impresa più complessa. Ricordiamo inoltre che essa viene ancora prima di quella del rischio controparte, perché non esiste un cliente buono in un paese molto rischioso, mentre è vero il contrario.
Essa si basa su una serie di parametri che spesso non sono oggettivi, ma contengono un giudizio di merito; inoltre risulta impossibile prescindere dal tipo di operazione verso l’estero che si tenta di effettuare.
L’approccio al rischio paese varia a seconda che ci si appresti ad una semplice fornitura di un bene di largo consumo, oppure, all’estremo opposto, ad un’esportazione di un impianto complesso o addirittura ad un investimento produttivo in una società estera.
In ogni caso, anche in un’operazione con regolamento a vista o nel brevissimo termine, attenzione particolare andrà riposta alla puntualità dei pagamenti, ai rischi politico/catastrofici ed all’eventualità di sospensione della convertibilità della moneta locale. Ma in un’operazione di costruzione di impianti chiavi in mano e nell’effettuazione di lavori all’estero, i fattori di rischio si moltiplicano: in aggiunta ai rischi sopra citati, si dovrà prestare attenzione alla problematica della revoca di commessa e dell’indebita escussione delle garanzie, oltre alla «litigiosità» del cliente per ciò che riguarda il rilascio di documenti che attestino il superamento delle varie tappe contrattuali (collaudo o commissioning, accettazione provvisoria, accettazione definitiva). Questo giudizio va riferito non solo al singolo cliente, ma anche alle leggi locali, che possono stabilire alcune particolarità di procedura, e persino ad usi, costumi e «disinvolture» del paese ove si opera.
Nelle operazioni più complesse, di finanza strutturata e di «project finance», è infine molto importante valutare il rischio che licenze, concessioni e autorizzazioni necessarie per il completamento dei lavori non vengano rilasciate non per carenze nella costruzione del progetto, ma per lungaggini o insipienze burocratiche.
Persino nelle operazioni intercompany deve essere valutato il rischio paese. In questo caso, infatti, pur se il rischio commerciale viene considerato quasi nullo, rimane sempre la possibilità che i pagamenti da una società affiliata o consociata, stabilita in un paese ad elevato rischio, siano bloccati d’autorità dalle locali autorità governative.
Può esistere, quindi, il caso di un paese che possa essere considerato relativamente tranquillo per operazioni con pagamento a vista o a breve termine, ma troppo rischioso per operazioni con regolamento a medio termine o di investimento diretto.
Ma come valutare tutti questi rischi? Un’impresa non è certo un centro studi, non può dotarsi di strumenti, spesso complicati, di analisi del rischio paese. Per questo è necessario affidarsi ai giudizi degli altri, ed in particolare a quelli:

  • delle agenzie internazionali di rating;
  • delle assicurazioni del rischio di credito;
  • dalle banche.

I giudizi degli altri
Un’indicazione estremamente importante sull’andamento del rischio paese, ma anche dei singoli debitori (banche e corporate), viene dai rating espressi dalle maggiori agenzie specializzate.

La loro importanza deriva principalmente dal fatto che tali rating costituiscono un punto di riferimento per tutto il mercato internazionale.

È interessante dare una definizione dei termini di classificazione utilizzati dalle maggiori agenzie.
Quello che viene chiamato Issuer Credit Rating non è altro che l’opinione dell’agenzia rispetto alla capacità e alla volontà di un determinato paese o di un debitore di far fronte ai suoi debiti.
La classificazione avviene tramite l’assegnazione di un indice, che nel caso di Standard & Poor’s (S&P) varia tra “AAA” e “D” per il lungo periodo, e da A1 a C per il breve, a seconda che le analisi portino a risultati ottimistici o pessimistici.
Le altre agenzie adottano un metro di giudizio in gran parte simile a quello visto. Moody’s, ad esempio, adotta una classificazione che va da un massimo di Aaa ad un minimo di C per il lungo termine, e da P-1 a NP per il breve. Infine Fitch ha un rating molto simile a quello di S&P per il lungo termine (da AAA a C, con una leggera differenza per i debitori insolventi, che vengono suddivisi fra DDD, DD e D, a seconda della capacità di recupero del debitore), mentre per il breve vanno da F1 a F3 (investment grade) e da B a D (speculative grade).
Va detto che queste categorie di rating non valgono solo per l’Issuer Credit Rating, che è il rating di base di ciascun paese o emittente. Per ogni rischio sovrano, ad esempio, sono quotati da Moody’s:

  • un country ceiling (tetto massimo di valutazione attribuibile a emissioni del paese) per il debito in valuta estera del paese, a breve e a medio termine;
  • un country ceiling per i depositi in valuta estera delle banche del paese, a breve e a medio termine;
  • una valutazione per i titoli del Governo a medio termine;
  • una valutazione per il debito in valuta locale del paese, a breve e a medio termine.

Mentre le tre prime categorie in genere coincidono o differiscono di poco, gli ultimi rating (quelli riferiti al debito in valuta locale) possono essere anche di molto differenti, riflettendo così la diversa possibilità del debitore sovrano nel raccogliere fondi all’estero o in patria.
Vi sono, infine, altri due rating attribuiti alle banche, vale a dire:

  • un rating riferito alle emissioni subordinate a medio termine, che è in genere più basso di quello per il debito ordinario (cosiddetto «senior»), in quanto rispetto a questo ha un accesso postergato al rimborso;
  • un rating riferito alla forza finanziaria della banca, espresso in una valutazione che va da A (la migliore) a E (la peggiore).

Al di là del singolo giudizio del momento, è importante la previsione sul futuro immediato, quello che le agenzie chiamano «outlook». Questo può essere positivo, stabile o negativo, e gli aggettivi definiscono chiaramente la possibilità di migliorare, stabilizzare o peggiorare il rating dei paesi o degli emittenti. Agli estremi opposti, pur con terminologie diverse, le agenzie collocano le previsioni di «revisione per il miglioramento», cioè di possibile passaggio ad una categoria di rating
superiore, oppure di credit watch, ossia di stato di osservazione con la possibilità di un passaggio ad una categoria di rating inferiore. Queste previsioni danno il senso di un movimento nella valutazione di un debitore che è molto importante, perché esprime la necessità di una diversa attenzione al rischio di credito.
Tuttavia, i giudizi di queste agenzie (che oltretutto negli ultimi anni sono stati messi in discussione per alcune “sviste” clamorose), anche se interessanti, non sono definitivi per un’impresa che opera con l’estero. Le valutazioni più importanti sono quelle che provengono da chi può in concreto risolvere il problema del rischio di credito: assicurazioni e banche.
Per quanto riguarda le assicurazioni, abbiamo visto, nell’articolo precedente, le modalità di costruzione del rating sul rischio paese da parte di Sace: le 8 categorie di rischio Ocse e le 9 del rating Sace. E’ l’indicazione più importante fra tutte, e non solo può permettere alle imprese di utilizzare il metro di Sace per valutare il rischio paese, ma anche indica quanto costi l’eventuale copertura di tale rischio.
Ma come vedremo, parlando di quali strumenti utilizzare per eliminare o ridurre il rischio di credito, ci sono casi in cui la soluzione del rischio è di natura finanziaria, perché è una banca che lo compra. In questi casi, è importante sapere quali banche hanno disponibilità di linee di credito su un determinato paese, a che scadenza, e a che prezzo.
Quindi, se vogliamo coprire un rischio di credito su un paese e su alcuni nominativi esteri, bisogna sapere in ogni momento qual è il giudizio in merito delle assicurazioni (e di Sace in primo luogo) e delle banche, perché sono queste istituzioni che devono fornirci soluzioni al riguardo.
Nel prossimo articolo ci chiederemo, prima di esaminare gli strumenti finanziari ed assicurativi per eliminare o attenuare il rischio di credito: come comportarci di fronte a rischi diversi, per intensità (rischio alto, medio, basso), importo e durata? In altri termini, è veramente utile una copertura estesa di questo rischio, ed è necessaria in tutte le operazioni con l’estero?

(per maggiori approfondimenti vedi Finanziamenti e credito, Novecento Media)

*Consulente di finanza e internazionalizzazione, professore a contratto di Finanza Aziendale Internazionale all’Università di Padova e docente del Master in Commercio Internazionale

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