Due diverse problematiche legate a Internet: pagamenti tramite carta di credito e diritti del Webmaster in relazione ai siti creati
Ho avuto la cattiva idea di comunicare gli estremi della carta di credito
collegata al conto aziendale per alcuni acquisti su Internet. Sono ormai due
mesi che riscontro addebiti indesiderati e ingiustificati sugli estratti conto
in dollari americani e australiani. Come posso fare per bloccare ulteriori fatturazioni?
F.Sangiusti
La carta di credito serve per poter pagare un bene o un servizio senza dover
utilizzare denaro contante, cosa che a volte rappresenta una mera comodità,
mentre in altri casi è di fatto una vera e propria necessità come
per l’acquisto di hardware o software su Internet. Per poter fare a meno
del denaro liquido è necessario che la banca presso la quale il titolare
della carta ha depositato del danaro abbia stipulato, con i fornitori dei beni
o servizi che si vogliono pagare mediante carta, un’apposita convenzione,
in base alla quale gli stessi fornitori sono obbligati ad accettare il pagamento
mediante carta. Il fornitore poi, per ottenere il pagamento, deve presentare
alla banca la cosiddetta “nota di spesa”, vale a dire il bigliettino
che il cliente titolare di carta sottoscrive e rilascia, in originale, al fornitore
e sul quale è indicato l’importo da corrispondere, insieme a data
dell’acquisto e numero della carta. Tramite la nota di spesa, il titolare
della carta impartisce alla banca l’ordine di pagare una certa somma a
un certo fornitore.
Orbene, nel nostro paese, l’esistenza di una nota di spesa è sempre
necessaria per ottenere il pagamento. Non è possibile presentare a una
banca un documento in cui è indicato il numero di carta di credito di
una determinata persona e ottenere un pagamento senza che a tale documento sia
apposta la sottoscrizione del titolare della carta. Nei casi, sempre più
numerosi, in cui si comunicano gli estremi della propria carta via Internet
per scopi che, a dire dei percettori dei dati, sono di mero accertamento anagrafico
mentre, invece, poi si verificano degli addebiti, bisogna presupporre che o
gli istituti di credito esteri paghino ordini di pagamento cui non è
apposta alcuna sottoscrizione oppure in calce a tali ordini di pagamento è
stata apposta una firma falsa. In entrambi i casi, tuttavia, il consumatore
è tutelato. Nel primo, è la banca che sbaglia: quello che si trova
in mano è un vero e proprio non-documento, un foglio di carta pieno di
dati magari pure veritieri e riferibili a una determinata persona, ma senza
che la stessa vi abbia impresso la propria sottoscrizione e abbia, così,
dimostrato la volontà di conferire l’ordine di pagamento. La banca,
in tali casi, deve non solo sospettare la provenienza illecita dei dati ma,
comunque, rilevarne l’insufficienza per dar corso a un pagamento. Deve,
inoltre, in ogni caso avvertire il titolare della carta.
In entrambi i casi c’è un reato. Si tratta del delitto di indebito
utilizzo di carta di credito o di ordini di pagamento riferiti alle stesse,
previsto dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, di conversione del Decreto Legge 3
maggio 1991, n. 143, all’art. 12.
Chi si trova nella situazione in questione, nel momento in cui vede addebiti
non autorizzati dovrebbe dar luogo alle seguenti formalità:
a) spedire una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno alla società
o alla banca che gestisce la carta di credito con copia, sempre per raccomandata
e ricevuta di ritorno, alla banca e filiale presso cui è acceso il conto
dal quale vengono materialmente prelevati i soldi, in cui viene rappresentata
la situazione e si precisa che gli addebiti “x” non sono autorizzati
e si invitano i percipienti a non dar più corso ad alcun pagamento nei
confronti dei relativi soggetti, sotto pena della loro responsabilità;
b) presentare una formale denuncia/querela presso la locale Procura della Repubblica,
esponendo per filo e per segno l’andamento dei fatti e lasciando che sia
il Procuratore a dare la qualificazione più acconcia (se truffa, indebito
utilizzo della carta di credito o altro) e inviarne una copia alla società
che gestisce la carta e alla banca.
Nel sito della mia società, il Webmaster ha inserito una scritta
non prevista dal contratto per farsi pubblicità gratuita. Ho chiesto
di toglierla oppure di discutere il lato economico. Non avendo ricevuto risposta,
dopo diversi mesi, ho provveduto io stesso a rimuoverla. Ora però è
stata reinserita. Posso ottenere il pagamento di tale spazio? M.Barbieri
Bisogna vedere le caratteristiche di questa scritta e il contesto preciso in
cui è stata inserita. Un sito Web, se dotato di un minimo di originalità
e creatività, è comunque sempre oggetto di proprietà intellettuale
del suo autore, in questo caso il Webmaster, che ha comunque il diritto quantomeno
morale di essere riconosciuto come tale. Una piccola scritta, non con caratteristiche
pubblicitarie ma solo di mera informazione, indicando l’autore “tecnico”
del sito è dunque sempre legittima. Ciò anche se vi fosse stata
una cessione della proprietà intellettuale del sito per contratto, dal
momento che questa cessione riguarderebbe, semmai, l’aspetto patrimoniale
del diritto d’autore ma non quello morale, cioè quello di essere
riconosciuto come “padre” di una certa opera, di cui magari non
si dispone più dei diritti di utilizzazione economica.
Il discorso cambia, invece, quando la scritta va, oggettivamente, al di là
dell’esercizio del diritto morale di essere riconosciuto autore del sito
e invece (per dimensioni, colori, accorgimenti tecnici, come ad esempio la presenza
di un hyperlink o un’applet Java, luogo di collocazione e per tutte le
altre circostanze, compreso il contesto in cui è inserita) diventa di
natura meramente pubblicitaria o quasi. In questi casi, è legittimo che
il titolare del sito richieda a chi ha inserito la scritta di rimuoverla, ovvero
gli chieda un corrispettivo per il “servizio pubblicitario” di cui
il Webmaster verrebbe a godere grazie agli accessi quotidianamente effettuati
al sito. Se il Webmaster rifiuta di rimuovere la scritta, si configura una violazione
del contratto, che presumo esistente nel caso in questione, dal momento che
il tecnico dispone delle credenziali di accesso al sito per poter modificarne
le pagine, di creazione e successivo mantenimento del sito stesso, con la conseguenza
che legittimamente il committente, cioè la società proprietaria
del sito, potrà intimare al tecnico di rimuovere la scritta, anche prefigurando
in difetto il trattenimento del corrispettivo dovuto periodicamente per i servizi
prestati, in tutto o in parte, in modo corrispondente all’inadempimento.
La cosa migliore, dunque, in caso di persistenza dell’inadempimento è
chiedere appunto la rimozione della scritta con una raccomandata a ricevuta
di ritorno diretta alla sede legale dell’impresa che fa da Webmaster e
manutenzione tecnica, prospettando quanto sopra e cioè che in difetto
di rimozione definitiva della scritta, in considerazione del loro inadempimento
si tratterrà in tutto o in parte la prossima rata di corrispettivo, in
base alla “eccezione di inadempimento” prevista dal codice civile,
con riserva di richiedere i danni nel frattempo subiti o che in futuro eventualmente
si subiranno.