Le Applicazioni al cuore della ricerca

La vision di Paul Horn, direttore Ricerca di Ibm, sui paradigmi che dovranno guidare le future attività di sperimentazione di It avanzata

Paul horn, vicepresidente e direttore Ricerca di Ibm

Sono le applicazioni dell’It che possono cambiare radicalmente il modello di business di ogni settore dell’industria e, nella messa a punto delle soluzioni, la capacità di collaborare con partner, università e aziende, è il punto focale su cui deve articolarsi la ricerca informatica odierna e futura. È la visione di Paul Horn, vicepresidente e direttore Ricerca di Ibm. «Lavorare insieme a un gruppo di ricercatori è un concetto straordinariamente potente e permette la circolazione di un rapido flusso di idee dalle accademie ai diversi settori del mercato» ha ribadito Horn al termine di un suo intervento al Bertinoro International Center for Informatics durante un convegno sul tema “Il Ruolo della Ricerca per l’Industria della Tecnologia dell’Informazione”.

Il cambiamento nelle aziende attuali è che l’innovazione non proviene più soltanto dai reparti di R&D interni delle organizzazioni, ma scaturisce dalle collaborazioni con business partner e clienti esterni a esse. Gli standard di Internet sono la base su cui ciascuna organizzazione può rimodellare i propri servizi e applicazioni software, per operare con maggior efficacia nel proprio mercato o, addirittura, inventare nuove forme di business generando il cambiamento. E fra gli esempi concreti di come l’It possa trasformare completamente un settore dell’industria, Horn porta quello di Google, che reinventa il business model di Microsoft, fornendo sotto forma di servizi Web pacchetti software applicativi; ma anche gli effetti dirompenti del fenomeno “blogger”, che ha stravolto la tradizionale concezione di giornalismo. O, ancora, le potenzialità della ricerca informatica applicata al settore della medicina, nella comprensione delle mutazioni genetiche dell’influenza aviaria e nell’uso dei supercomputer che, elaborando le informazioni, consentono di prevedere come le pandemie potrebbero migrare attraverso il Globo.

Lineaedp ha approfondito con un’intervista a Horn il tema della ricerca e degli sviluppi futuri dell’informatica.

In generale, quali principali barriere vede oggi ostacolare la ricerca nel settore It?

«La più grande barriera risiede nel fatto che per il successo della ricerca è critico anche costruire il canale per portarla nel settore di mercato. Non si deve pensare che basti solo inventare, poiché allora da questo punto di vista vi sono molte aziende che fanno un grande lavoro di progettazione. Ma la cosa più difficile, è andare oltre l’invenzione, per comprendere il mercato in misura sufficiente e intuire il tipo di applicazione da sviluppare al suo interno».

Quindi si tratta di trovare la “killer application”?

«La killer application sta diventando l’applicazione dell’Information technology per consentire la creazione di nuovi modelli di business da impiantare nella propria azienda. E ciò può essere realizzato in ogni settore di mercato. Prenda ad esempio quello bancario: si può fondamentalmente costruire una nuova metodologia di banking, come modelli che permettono di ridurre i costi di chi chiede un prestito, ad esempio per aiutare i paesi del Terzo Mondo. Quindi, se si usano l’Information technology, la condivisione della conoscenza e nuove tecniche che in sostanza abbassano i costi dei finanziamenti, tutto ciò può consentire di cambiare il mondo e tutto il settore bancario. Questo approccio si può pensare per ogni ambito industriale, perché l’It aiuta a ottenere questo miglior potenziale».

Dipende, in definitiva, dall’applicazione che si sviluppa in ciascun caso…

«Esatto. E si deve comprendere la realtà all’interno della quale si sta progettando l’applicazione: come ricercatore It o come It provider diventa, dunque, necessario lavorare con la banca e, potrebbe darsi, anche con questi paesi dall’economia minoritaria».

Parlando di trasformazione della ricerca, dei sistemi e delle reti nel mondo dell’It e della sempre maggior efficienza che permettono di trasferire nelle varie attività di business, può venire spontaneo pensare anche al concetto di “autonomic computing”, termine coniato per esprimere una visione sull’evoluzione del mondo dei computer. Secondo lei, quanti anni ci vorranno ancora per completare questo scenario?

«Ho parlato tanto tempo fa di questo tema: non si può esaurire in una risposta, ma è un lungo discorso. In ogni caso, se guarda a quello che è accaduto negli ultimi cinque anni, i sistemi stanno diventando molto più autonomi e stanno cominciando a essere in grado di autogestirsi. Oggi utilizzano più tecniche di virtualizzazione, più condivisione delle risorse e quant’altro, ma resta ancora una lunga, lunga strada da percorrere rispetto al punto di partenza. Questo processo si compirà lentamente nel corso dei prossimi 10-15 anni. Ci saranno graduali miglioramenti che permetteranno di abbassare i costi di gestione delle reti e dei sistemi complessi, ma non ci sarà un giorno in cui si potrà dire di aver completato questo cammino: sarà sempre un miglioramento graduale e continuo».

E ora Ibm su quali ambiti si sta mobilitando, in particolare, per velocizzare tale processo di evoluzione?

«Come Ibm stiamo lavorando a ogni aspetto dell’autonomic computing. Se considera il nostro hardware e i nostri sistemi, in effetti essi oggi fanno più self-management di prima. Se poi prende in esame il middleware e il software, grazie a questi le macchine attuali sono in grado di eseguire un miglior lavoro di condivisione delle risorse. Inoltre, a tutti i livelli, stiamo cercando di abbassare i costi ai quali gli utenti stanno gestendo i propri sistemi».

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