Le Tv locali chiedono più soldi per passare al digitale

Il vice ministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, interviene sui temi più controversi dello switch-off nel nostro paese

È il momento cruciale per lo switch off digitale in Italia. Dopo il riuscito esperimento della Sardegna, si entra nella fase calda con parte del Piemonte, Valle D’Aosta, Trentino – Alto Adige e, soprattutto, buona parte del Lazio. Se tutto dovesse filare liscio, entro fine anno, come ricorda lo stesso vice ministro delle Comunicazioni Paolo Romani, il 30% della popolazione italiana (oltre 15 milioni di abitanti) dovrebbe essere già servito esclusivamente da trasmissioni in Dvb-T. E nel 2010 dovremmo arrivare al 70%, che vorrebbe dire oltre 40 milioni di persone raggiunte dalle trasmissioni televisive in tecnica digitale.

Tuttavia le prospettive non sono, a sentire molti editori locali, così rosee come appare. Questo soprattutto per il numero dei soggetti (Tv locali) attivi nel nostro paese. I nodi al pettine sono diversi: dalle risorse economiche (che le Tv locali dichiarano di non avere, soprattutto in questa particolare fase congiunturale) alle risorse in termini di frequenze, a una serie di problemi che derivano da modelli di business conquistati negli anni, che fanno parte di un particolare “sistema” tutto nostrano ma ormai consolidato nel tempo. Millecanali ha sentito su questi argomenti il vice ministro Romani.

Parliamo di digitale terrestre. Come sta l’Italia rispetto agli altri paesi?
Ormai diversi paesi europei sono avviati su questa strada. Noi abbiamo anticipato la scadenza del dicembre 2012, passando a uno switch off area per area, cosa che ci è sembrata più sensata, in modo da poter concentrare anche la soluzione dei problemi, di volta in volta, su ogni singola area interessata.

Con la gara per i famosi cinque mux avete risolto il problema della procedura d’infrazione dell’Unione Europea? E come procederete per l’assegnazione?
Non è ancora detto. Quando sono arrivato al Ministero, ho trovato una procedura d’infrazione contro la Legge Gasparri, attivata dall’Europa in base al principio che ci fosse una posizione dominante e che con il passaggio al digitale non ci fosse sufficiente dividendo digitale.

Non è ancora conclusa quindi?
Non è conclusa perché dobbiamo fare ancora il disciplinare di gara. Abbiamo ottemperato a due cose: la delibera dell’Autorità e la trasformazione in legge della delibera stessa; ma anche il terzo elemento, che è il disciplinare di gara, andrà fatto secondo i criteri stabiliti e definiti con l’Europa. Se tutto questo finirà positivamente, come previsto, si chiuderà la procedura d’infrazione.
Ovviamente l’accordo con l’Europa prevede che ci sia, in ogni area in cui si proceda con lo switch off, un dividendo con cinque mux, da mettere in gara. Tre sono riservati a nuovi operatori, mentre alla gara per gli altri due possono partecipare tutti.

Quindi si potrà rispondere alle aspettative di tutti i soggetti attivi sul territorio nazionale?
Sì, abbiamo fatto i conti e in Piemonte (dove abbiamo sia i problemi legati al confine francese sia la condivisione di bacini con la Lombardia) “ci siamo”; lo stesso nel Lazio, dove c’è un importante numero di soggetti attivi, Vaticano compreso, che potrebbe chiedere di diritto 3-4 canali e con il quale stiamo però trattando. Complessivamente, abbiamo ben 55 canali disponibili, che ritengo siano sufficienti per tutti. Problemi potrebbero esserci, magari, sulla riviera adriatica, dove si affacciano diversi stati; lì dovremo trattare duramente.

Quanti saranno i mux pianificati a livello nazionale?
Avremo 21 mux, compresi i cinque del dividendo, oltre a quattro mux DVB-H, per un totale di 25 mux nazionali.

Mentre un discorso a parte, anche per lo sviluppo dell’IPTV, rimane quello della banda larga.
Sono previsti investimenti per ben 1.471 milioni di euro, entro il 2012. Il Rapporto Caio ci ha insegnato che c’è un 13% del paese che non ha accesso all’Adsl, a fronte di un 45% delle famiglie italiane che ha un computer. Quando parlo di banda larga, non parlo di 640 Kb/s, ma partiamo dai due Mb/s. Con quest’operazione sulla rete Telecom, sostanzialmente (ma abbiamo anche altri interlocutori), puntiamo a consentire a tutti gli italiani di poter accedere a questa risorsa in modo adeguato. Il passo successivo sarà passare al Ngn, che però costerà nove miliardi di euro.

Perché tutta quest’accelerazione?
Perché se il ministro Brunetta opererà una ‘svolta digitale’ nella Pubblica Amministrazione, è importante che anche gli italiani abbiano le risorse adeguate per eliminare il cartaceo.

Tivù, che parte con un po’ di ritardo, piuttosto che iniziative come quella di Conto Tv, segnerà la riapertura della piattaforma satellitare in Italia?
Il regime di monopolio penalizza la qualità e la concorrenza. Quindi se ci sono più soggetti, è un vantaggio per gli utenti e per il mercato.

Le Tv locali parlano di 560 milioni di euro, necessari per attuare lo switch-off, solo per loro. Certamente, in questo periodo di recessione, gli editori locali non hanno tali risorse. Questo rischia di essere un fattore che porterà a un blocco del processo di digitalizzazione?
Di cifre ne ho sentite tante. Noi diamo milioni di euro alle emittenti locali, soltanto a loro, per le campagne promozionali per sostenere i costi dell’informazione per lo switch off digitale, secondo tariffe che le stesse determinano. Parliamo di sette milioni per il Piemonte e di oltre sette milioni per il Lazio, di cui il 50% è destinato alle Tv locali e l’altro 50% ad altri media.

La Pubblica amministrazione, com’era inizialmente previsto e avendo il sistema dimostrato la potenzialità dei servizi interattivi per la Pa, può rientrare in gioco e allo stesso tempo contribuire anche economicamente allo sviluppo del digitale terrestre?
Credo che questa sia una potenzialità degli enti locali che abbiano risorse da destinare a queste attività e possano trarne notevoli benefici. Dipende anche dalle emittenti locali, dalla loro capacità propositiva e da quella di dialogare con gli enti locali stessi.

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